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Perchè i criminali informatici colpiscono soprattutto le PMI?

In occasione della Giornata Internazionale delle PMI promossa dalle Nazioni Unite, Kaspersky ha presentato un report completo che mette in luce i crescenti pericoli che le piccole e medie imprese (PMI) devono affrontare nel panorama attuale delle minacce informatiche. Considerando che le PMI costituiscono il 90% di tutte le aziende a livello globale e contribuiscono al 50% del prodotto interno lordo mondiale, è necessario rafforzare le misure di sicurezza informatica per proteggere questi importanti attori economici. Il nuovo report di Kaspersky, intitolato “Threats to SMB”, ha evidenziato una realtà preoccupante: i criminali informatici continuano a colpire le PMI utilizzando una serie di tecniche sofisticate. Il numero di dipendenti delle PMI che si sono imbattuti in malware o software indesiderati, camuffati da applicazioni aziendali legittime, è rimasto relativamente stabile rispetto all’anno precedente (2.478 nel 2023 rispetto a 2.572 nel 2022), e i criminali informatici persistono nel tentativo di infiltrarsi in queste aziende.

Phishing via email, messaggi di testo ingannevoli… le minacce sono molteplici

I truffatori utilizzano una vasta gamma di metodi, tra cui sfruttamento di vulnerabilità, phishing via email, messaggi di testo ingannevoli e persino link YouTube apparentemente innocui. L’obiettivo è sempre quello di accedere a dati sensibili. Questa tendenza preoccupante evidenzia la necessità urgente di rafforzare le misure di sicurezza informatica per proteggere le PMI dalle costanti minacce informatiche. Il report ha rilevato che nei primi cinque mesi del 2023 sono stati individuati 764.015 file dannosi destinati alle PMI.
Gli exploit sono state le minacce più diffuse, rappresentando il 63% (483.980) dei rilevamenti nei primi cinque mesi dell’anno. Questi programmi malevoli sfruttano le vulnerabilità dei software, consentendo ai criminali di eseguire malware, aumentare i privilegi o distruggere applicazioni critiche senza alcuna azione da parte dell’utente.
Inoltre, le minacce di phishing e truffe rappresentano un rischio significativo per le PMI. I criminali informatici riescono facilmente a indurre i dipendenti a divulgare informazioni riservate o a cadere vittime di truffe finanziarie. Alcuni esempi di queste tecniche fraudolente includono false pagine di servizi bancari, spedizioni o credito, create per ingannare le persone inconsapevoli.

Cos’è lo smishing?

Il report di Kaspersky mette anche in evidenza un metodo spesso utilizzato per infiltrarsi negli smartphone dei dipendenti, chiamato “smishing”, una combinazione di SMS e phishing. Questa tecnica prevede l’invio di un messaggio contenente un link tramite diverse piattaforme come SMS, WhatsApp, Facebook Messenger, WeChat e altre. Se l’utente clicca sul link, il dispositivo viene esposto al caricamento di codici malevoli che possono comprometterne la sicurezza.

Vulnerabilità da non sottovalutare

I dati utilizzati nel report sono stati raccolti da gennaio a maggio 2023 tramite Kaspersky Security Network (KSN), un sistema protetto per l’elaborazione di dati anonimizzati relativi alle minacce informatiche, condivisi volontariamente dagli utenti Kaspersky. 
“Le vulnerabilità affrontate dalle PMI non devono essere sottovalutate. Poiché queste aziende sono alla base dell’economia di molti Paesi, è essenziale che governi e organizzazioni intensifichino gli sforzi per salvaguardare queste imprese. La consapevolezza e gli investimenti in solide soluzioni di sicurezza informatica devono diventare una priorità assoluta per proteggere le PMI dalle minacce informatiche in costante evoluzione”, ha dichiarato Vasily Kolesnikov, esperto di sicurezza di Kaspersky.

Internet advertising: nel 2023 raggiunti 4,8 miliardi

A quanto emerge dall’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano, a fine 2022 il mercato pubblicitario italiano ha raggiunto il valore di 9,4 miliardi di euro, in leggera crescita (+1%) rispetto al 2021. All’interno di questo panorama, con una quota del 48% Internet conferma la propria leadership, seguito da Tv (37% e -5%), Stampa (7% e -6), Radio (4% e +2%) e Out of Home (4% e +40%).
A fine 2022 il valore dell’Internet advertising ha raggiunto 4,5 miliardi di euro, +4% rispetto al 2021. E nel 2023 si assisterà a una crescita che potrebbe assestarsi attorno al +7%, pari a oltre 4,8 miliardi.

Il Video traina la crescita

Nel 2022 aumenta però la concentrazione dell’Internet advertising nelle mani dei grandi player internazionali, che raccolgono l’81% degli investimenti pubblicitari. La situazione economica ha portato i brand a massimizzare i budget pubblicitari, investendo nei formati che permettono di aumentare i touchpoint con i clienti e le modalità di ingaggio. Non a caso, a trainare la crescita è il formato Video (+8%), che raggiunge quasi 1,6 miliardi e aumenta la sua incidenza sul totale Internet (35%). Tra i formati che lavorano nella creazione di nuovi touchpoint figura anche l’Audio advertising (+37%), comparto che nonostante le dimensioni ancora ridotte, in termini di raccolta complessiva (27 milioni) sta attirando il crescente interesse degli investitori.

Digital Out of Home

Nel 2022 gli investimenti pubblicitari Digital Out of Home valgono 108 milioni, +72% rispetto al 2021. Un trend positivo che proseguirà anche nel 2023 portando il Digital Out of Home a raggiungere 134 milioni (+25%). La componente digitale pesa per il 27% del totale Out of Home (+5%), e traina il mercato grazie a una diffusione sempre più elevata di impianti e una raccolta in salita, con tassi importanti anche nei formati Transit (schermi posizionati in aeroporti, stazioni, metropolitane, o mezzi di trasporto). Una delle sfide più rilevanti riguarda la misurazione ex-post dell’efficacia delle campagne. Soprattutto per le preoccupazioni da parte degli advertiser in merito alla privacy e al tracciamento degli utenti, e il calcolo della reach totale che passerebbe attraverso lo sviluppo di metriche condivise tra gli attori dell’offerta.

Tv 2.0: gestione delle campagne e Video Strategy

Nel 2022 gli investimenti pubblicitari destinati alle Tv connesse valgono 361 milioni (+55%), che nel 2023 saliranno a circa 470 milioni (+29%).
Un trend frutto di diverse dinamiche: un’importante raccolta legata agli eventi sportivi trasmessi su piattaforme OTT, e fruiti largamente sul grande schermo, un costante e repentino aumento della fruizione di applicazioni web, sempre più utilizzate su questi device, e una crescita della componente Addressable legata al palinsesto lineare e ai servizi interattivi di HbbTv dei broadcaster. Nel 2022 è ancora contenuta la raccolta dei nuovi player Advertising Video on Demand, servizi di streaming basati sulla pubblicità, le cui offerte saranno da monitorare per capire se attireranno nuovi budget pubblicitari o andranno a erodere le quote di Tv o Internet.

Gli italiani riducono il “carrello” per continuare a risparmiare

L’inflazione pesa sui carrelli degli italiani, tanto che il 67% ora spende di più rispetto al passato per gli stessi prodotti. Secondo i dati Istat, nell’ultimo trimestre 2022 il potere di acquisto delle famiglie è diminuito quasi del 4% rispetto ai tre mesi precedenti, e la causa principale sembra essere proprio l’aumento dei prezzi. Ma come risparmiano gli italiani quando fanno la spesa? Per far fronte ai rincari gli italiani cercano di evitare soprattutto gli acquisti superflui (42%), scelgono i prodotti in offerta (33%), sfruttano i programmi fedeltà che garantiscono sconti speciali (27%) e aumentano la preferenza alle private label (18%).

A formaggi e salumi non si rinuncia, ma si scelgono le private label

Di fatto, negli ultimi 12 mesi 7 italiani su 10 hanno ridotto i loro acquisti al supermercato a causa dei rincari. Per contenere l’impatto dell’inflazione sui portafogli si tagliano soprattutto le bevande alcoliche (43%), ma anche la frutta e la verdura (40%). Tuttavia, pare che gli abitanti della Penisola non riescano proprio a fare a meno di alcuni prodotti, e anche quando devono risparmiare non rinunciano a formaggi e affettati (37%) né a snack dolci o salati (29%). Osservando però gli acquisti effettuati sulla piattaforma di Everli, anche in questo caso si delinea una tendenza al risparmio. Sono proprio gli ‘irrinunciabili’ formaggi e salumi a guidare i consumi dei prodotti a marchio del distributore, caratterizzati in genere da un prezzo mediamente più conveniente rispetto all’offerta dei brand più noti.

Nuove e virtuose abitudini

Per far fronte ai rincari i consumatori confermano di aver acquisito nuove e virtuose abitudini, come, ad esempio, fare acquisti al supermercato in maniera più mirata e consapevole (41%), valutare con più attenzione il rapporto qualità-prezzo dei prodotti (37%) e monitorare sconti e offerte più frequentemente (31%). Una propensione al risparmio che sembra essere entrata anche nelle cucine degli italiani, con il 43% che dichiara di aver imparato a preparare nuove ricette per utilizzare gli avanzi e contenere gli sprechi alimentari. Non solo, oltre 9 italiani su 10 (94%) affermano di voler introdurre ulteriori soluzioni per risparmiare nei prossimi tre mesi.

Il supermercato abituale non si cambia, i marchi acquistati sì

Se si è ancora restii ad abbandonare il supermercato abituale e dirigersi verso uno più conveniente (8%), il caro prezzi dirada la fiducia nei confronti dei brand, e i consumatori scelgono prodotti più economici a prescindere dal marchio (64%), o si rivolgono a mercati rionali o fattorie con rivendita diretta (34%). Secondo la ricerca, a essere maggiormente colpite dal caro prezzi sono le donne, che ammettono di aver percepito rincari pari al 10% (63% delle intervistate), contro una media del 5% riferita dagli uomini (66% degli intervistati). Ma nonostante i tentativi messi in atto per risparmiare, ci sono beni che non possono essere depennati dalla lista della spesa, e che possono influire sui bilanci familiari e personali.

Gli italiani, la genitorialità e la maternità surrogata. Cosa ne pensano?

Secondo un sondaggio Ipsos, condotto in occasione della Festa della Mamma 2023, anche oggi diventare genitore è considerato uno step importante della vita, ma non per tutti fondamentale per sentirsi realizzati. E rispetto alla maternità surrogata gli italiani mostrano un atteggiamento tendenzialmente favorevole, pur con molte incertezze. Di fatto, il 41% del campione considera diventare genitori abbastanza importante, anche se ci si può realizzare in altri modi. Ne sono convinti in particolare Boomers e Silent, in particolare, le madri con più di 50 anni: tra queste la percentuale sale addirittura al 57%. Il 31% del campione, e soprattutto i papà (38% tra under-50, 46% tra over-50), attribuisce alla genitorialità un’importanza ancora maggiore per la realizzazione personale, considerandola molto importante o fondamentale.

Mamme di oggi vs mamme di ieri 

Di contro, il 28% considera poco importante o addirittura irrilevante l’esser genitori per sentirsi realizzati. Soprattutto GenZ e Millennials, prevalentemente al Nord, e ancora, tra laureati e non credenti. Nel confronto tra mamme di oggi e mamme del passato emerge in generale un atteggiamento critico verso le prime. La maggioranza è infatti convinta che oggi le mamme siano più permissive (82%), meno capaci di trasmettere valori ed educazione ai figli (74%), più stanche, indifferenti e passive (60%), e più in conflitto con i figli (54%).
Gli unici tratti positivi riguardano la maggiore informazione sulla vita dei figli e dei loro coetanei (52%), e il maggiore aiuto da parte del partner (70%).

Maternità surrogata: un tema che divide

La questione più ‘calda’ dal punto di vista del dibattito politico è la maternità surrogata. Ipsos non registra tanto le opinioni sulla pratica in sé quanto sull’opportunità di registrare come figli di entrambi i genitori i figli nati all’estero tramite questo sistema, laddove questo sia consentito, una volta rientrati in Italia. Su questo aspetto specifico, recentemente al centro delle polemiche politiche, gli italiani mostrano un atteggiamento tendenzialmente favorevole. Il 40% si dichiara favorevole alla registrazione, ma oltre un italiano su tre (36%) non riesce a esprimersi. A essere contrario è il 24%.
Si rileva poi una differenza sensibile tra uomini e donne, indifferentemente dall’età e dall’essere o meno genitori. I pareri favorevoli salgono al 44% tra le donne, mentre si fermano al 35% tra gli uomini.

Un atteggiamento trasversalmente aperto

Non sorprende, poi, che le opinioni sul tema risultino molto correlate all’orientamento politico degli intervistati. Tra chi si colloca a destra o nell’estrema destra la quota dei favorevoli passa in minoranza (26%) e prevalgono i contrari (45%), mentre a sinistra o nel centrosinistra le posizioni favorevoli sono decisamente più marcate (rispettivamente 55% e 56%). Da notare che anche tra chi dichiara di collocarsi politicamente al centro o nel centrodestra prevalgono, seppur di poco, i pareri favorevoli (rispettivamente 38% e 37%) su quelli contrari (34% e 27%). Segno di un atteggiamento trasversalmente aperto verso queste ipotesi, pur nell’incertezza testimoniata dal grande numero di opinioni incerte.

Gli effetti dell’inflazione sul Retail del Largo Consumo 

A livello europeo, il 60% dei consumatori oggi dichiara di prestare maggiore attenzione al prezzo rispetto al passato, e il 54% cerca o aspetta promozioni speciali per finalizzare i propri acquisti.
I consumatori di tutta Europa stanno subendo gli effetti dell’inflazione sull’aumento del costo della vita. Un’analisi realizzata da GfK su 15 Paesi europei mostra infatti come il 93% dei consumatori abbia già modificato le proprie abitudini di acquisto per risparmiare. E più della metà degli intervistati afferma che non si tratta di una decisione volontaria, ma che il cambiamento delle abitudini di acquisto è legato all’andamento dei prezzi.

Gli italiani e le strategie per ridurre i costi

Tra le misure messe in campo dagli italiani per ridurre i costi, al primo posto c’è la scelta di mangiare più spesso a casa al posto di andare al ristorante. Quasi il 60% degli italiani dichiara infatti di farlo più spesso che in passato. 
Tra le altre iniziative più citate rientrano quelle connesse al tema del risparmio energetico, ad esempio, la scelta di utilizzare maggiormente gli elettrodomestici in modalità ‘ecologica’, o addirittura utilizzarli meno di frequente per ridurre il consumo di energia. Inoltre, il 45% degli italiani dichiara di fare più spesso acquisti in diversi negozi per trovare i prezzi migliori, mentre il 37% ha incrementato l’acquisto di prodotti ‘private label’ rispetto al passato.

Meno alcolici, dolciumi e cosmetici più spesa al Discount

Le prime tre categorie di prodotto per le quali i consumatori europei dichiarano di voler modificare i propri comportamenti di acquisto sono bevande alcoliche (50%), dolciumi (48%) e cosmetici (42%).
Ma l’effetto del cambiamento delle abitudini dei consumatori si riflette anche sulle tipologie di negozio. In questa fase, infatti, fattori razionali come la disponibilità di promozioni interessanti,o di prodottiprivate label a basso costo, condizionano maggiormente i consumatori nella scelta del negozio rispetto a fattori emotivi (cordialità del personale o rapidità del servizio). E a livello europeo, i Discount registrano un incremento del +15% tra chi intende aumentarvi gli acquisti nei prossimi sei mesi.

“Elaborare le giuste offerte sui giusti canali”

L’attuale crisi economica quindi non solo influisce sul sentiment, ma comporta compromessi e strategie di risparmio messe in campo dai consumatori. Per Retailer e Produttori è più importante che mai rimanere al passo con queste tendenze.
“Comprendere le nuove esigenze dei consumatori è fondamentale per elaborare le giuste offerte sui giusti canali – commenta Marco Pellizzoni, Commercial Director Consumer Panel & Services di GfK Italia -. Nel contesto attuale i prodotti innovativi, in grado di soddisfare i bisogni razionali e che offrono allo tempo stesso vantaggi emotivi o sociali per i consumatori, hanno buone possibilità di successo. Ad esempio, Retailer e Produttori possono aiutare i consumatori a non sprecare il cibo, offrendo porzioni più piccole o sconti in prossimità della data di scadenza”.

Giornata della Terra, gli italiani e il climate change 

Il 22 aprile di ogni anno si celebra la Giornata della Terra, una manifestazione globale per promuovere la sostenibilità ambientale e la salvaguardia del nostro pianeta. 
In occasione di questo appuntamento, Ipsos ha condotto un sondaggio internazionale interpellando oltre 21.000 persone distribuite in 29 Paesi, tra i quali anche l’Italia. L’obiettivo della ricerca era esplorare le opinioni relative al cambiamento climatico e le azioni che le persone percepiscono come essere più impattanti nella riduzione della CO2.

Meno sensibilità sul tema: colpa di altre crisi globali

Dai risultati è emerso come solamente il 29% degli italiani ritenga che il governo abbia un chiaro piano per lavorare contro i cambiamenti climatici e come questa convinzione sia in calo rispetto all’anno scorso, probabilmente a causa dell’impatto delle tante altre crisi che stiamo attualmente vivendo. Al contempo, le persone tendono a considerare la lotta al cambiamento climatico come una responsabilità da condividere tra singoli individui (62%), governo (55%) e aziende (52%). Tuttavia, soltanto il 28% degli intervistati vede il proprio paese come leader nell’affrontare il cambiamento climatico; in Italia, tale percentuale è in linea con quella di Francia, Canada ed Olanda mentre i valori più elevati si registrano in India (71%), Malesia (51%) e Brasile (42%). La maggioranza concorda sul fatto che non è possibile affrontare completamente il cambiamento climatico senza la collaborazione di tutti i paesi: lo pensano il 66% su scala internazionale ed addirittura il 71% nel nostro paese.

Più oneri ai paesi ritenuti maggiormente “responsabili”

La maggioranza dell’opinione pubblica italiana (per l’esattezza il 61%) ritiene anche che l’onere maggiore dovrebbe ricadere sui paesi più responsabili del climate change ed economicamente sviluppati. Circa sette persone su dieci, invece, reputano che se ognuno facesse piccoli cambiamenti nella propria vita quotidiana, potrebbe avere un grande impatto nella lotta al cambiamento climatico. Nonostante le difficili condizioni economiche contingenti, infatti, solo il 23% pensa che sia troppo tardi per fare qualcosa mentre ben 41%, quindi circa 4 persone su dieci in Italia, ritengono che sia proprio adesso il  momento giusto per investire in misure contro il progredire del cambiamento climatico. 

Comportamenti sostenibili per ridurre le emissioni di carbonio: percezione contro realtà

In ultima analisi, il sondaggio d’opinione Ipsos rivela che a livello internazionale continua a persistere il cosiddetto “believe-true gap”, ciò significa che le persone tendono a percepire l’impatto di alcune azioni, messe in atto per ridurre le emissioni di CO2, in misura maggiore rispetto a quello effettivo. Si registra ancora confusione su quali siano i comportamenti più sostenibili da adottare che hanno un impatto maggiore sulla lotta al cambiamento climatico, seppur con qualche progresso rispetto allo scorso anno.
In particolare, rispetto al 2022, è aumentata la consapevolezza dell’impatto positivo che il passaggio alle energie rinnovabili può avere, classificato dal campione intervistato come il miglior modo per ridurre le emissioni di carbonio (al quarto posto in termini di impatto effettivo*), con un aumento di 8 punti percentuali.

Sicurezza informatica, colpita un’impresa su quattro

Tra i timori con cui le piccole e medie imprese italiano devono fare i conti c’è quello degli attacchi informatici. E non si tratta di un pericolo lontano o di un’ipotesi remota. Oggi un’azienda su quattro è stata colpita da problemi relativi alla sicurezza informatica (26%). Tanto che cresce la percentuale delle imprese che, allarmate dalla situazione, hanno deciso di investire risorse per la messa in sicurezza dei propri dati. In base a un sondaggio condotto da SWG per Confesercenti sulle PMI tra i 10 ed i 50 dipendenti, si scopre che nel 2023 il 52% delle PMI investirà in sicurezza, per un investimento complessivo di circa 470 milioni di euro. 

Cybercrime sempre più diffuso anche tra le attività economiche

Quello della sicurezza informatica è un problema che riguarda sempre di più anche le attività economiche. La progressiva digitalizzazione del terziario ha portato infatti quasi la totalità delle imprese intervistate – il 97% – ad adottare uno o più sistemi informatici: il 90% ha un sistema di posta elettronica gestito internamente, il 73% ha un sito web, mentre il 61% si avvale di un software o piattaforma gestionale interna. Un ulteriore 35% mette a disposizione dei clienti una rete Wi-Fi pubblica, mentre il 28% gestisce un portale di e-commerce. Ma anche la salvaguardia di dati sensibili e informazioni riservate è un fattore critico, viste le nuove indicazioni circa l’acquisizione, la gestione, l’utilizzo e l’archiviazione dei dati personali. Per questo, il 49% delle PMI ritiene di dover fare di più per garantire la sicurezza dei propri dati e dell’attività, mentre una quota appena superiore – il 52% – prevede di destinare risorse a questo fine nell’anno in corso, con una spesa media di 4.800 euro per impresa, per un totale di oltre 470milioni. Solo il 50%, però, ha già individuato un fornitore di servizi a cui affidarsi.

Investimenti miliardari nel prossimo triennio

“Il quadro che emerge dal sondaggio, condotto sulle imprese con dieci o più dipendenti e quindi, almeno sulla carta, più strutturate e di conseguenza più motivate a garantirsi un sistema di procedure e protezione dati adeguato, ci offre infatti una duplice lettura. Da una parte un quarto delle attività intervistate ammette di avere già avuto problemi, dall’altro, solo una su due ha deciso di investire per migliorare le proprie difese” dichiara Nico Gronchi, Vicepresidente vicario di Confesercenti. “Certo, le imprese a cui è stato somministrato il sondaggio rappresentano solo il 5% del totale delle attività economiche, e non sono certamente le uniche che vogliono investire nella sicurezza dei propri sistemi. È anzi presumibile che già quest’anno almeno il 10% delle rimanenti imprese – oltre 420mila attività – investirà in cybersecurity. Prendendo come riferimento il triennio 2023-2025, possiamo stimare che le imprese nel loro complesso saranno ‘costrette’ a sostenere spese per la sicurezza informatica per circa 10 miliardi”.

Giovani e mondo digitale, quali sono le preoccupazioni?

Ragazzi, famiglie e un mondo digitale che è sempre più presente e permeante nella vita di tutti. Come vivono i giovani il rapporto con la tecnologia, la rete e i social? A questi interrogativi risponde la ricerca “Tra realtà e Metaverso. Adolescenti e genitori nel mondo digitale” è stata realizzata da BVA DoxaKids, per Telefono Azzurro e presentata all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il report esplora la capacità delle nuove generazioni, fra i 12 e i 18 anni, di come evitare i pericoli, controllarli o segnalarli. In generale l’analisi registra un aumento delle preoccupazioni, condivise da genitori e adolescenti, circa gli effetti negativi che possono scaturire da un’esposizione eccessiva agli schermi digitali dei giovanissimi. 

Estranei, bullismo e oversharing di dati personali i rischi più sentiti  

Il 65% dei ragazzi intervistati teme di essere contattato da estranei adulti (percentuale che si innalza al 70% se si prendono in esame solamente le ragazze e i più piccoli, dai 12 ai 14 anni). Seguono il bullismo (57%), oversharing di dati personali (54%), la visione di contenuti violenti (53%) o sessualmente espliciti (45%), l’invio di contenuti di cui ci si potrebbe pentire (36%), le spese eccessive (19%), il gioco d’azzardo (14%). A quasi 1 ragazzo su 2 (48%, 53% nel caso di ragazzi 15-18 anni) è capitato di incappare in contenuti poco appropriati e nel 25% i contenuti apparsi li hanno turbati e impressionati. Nel 68% dei casi i contenuti più diffusi sono quelli violenti, seguiti immediatamente da quelli pornografici (59%) e sessualmente espliciti (59%), dai contenuti discriminatori e razzisti (48%), da quelli riguardanti il suicidio e l’autolesionismo (40%) o inneggianti l’anoressia e la bulimia (30%), ma anche il gioco d’azzardo (27%). I genitori risultano essere un punto di riferimento per i figli, nel caso di eventi spiacevoli accaduti online. Il 19% riporta di aver accolto le confidenze dei propri figli in passato, mentre il 49% ritiene che i propri figli ne parlerebbero in famiglia, anche se per il momento non sono ancora avvenuti episodi di questo tipo.

La questione dell’age verification

Più del 70% dei 12-18enni intervistati prova un forte timore rispetto al fatto che i dati da loro stessi condivisi quotidianamente online (aggiornamenti sui canali social, ricerche e navigazione nel Web, tracce di dati del proprio utilizzo di Internet e degli smartphone) vengano utilizzati senza il loro consenso. Un dato interessante emerge sul punto relativo all’age verification da parte di social network, app e altri siti Internet: per gli adolescenti è di media 15 anni, per i genitori un anno in più, 16. In entrambi i casi si tratta di un discrimine superiore rispetto a quello individuato dall’Italia (14 anni) in seguito alla normativa europea per il consenso al trattamento dei dati.Il risultato del report dimostra l’importanza da parte dei giovani utenti e dei loro genitori dei sistemi di age verification e quindi della necessità di un loro utilizzo per un periodo più lungo. Per il 70% degli adolescenti intervistati sono molto utili per non trovarsi in situazioni rischiose, per il 65% per fare in modo che non compiano azioni senza pensare alle possibili conseguenze e per il 61% per evitare che vedano contenuti inappropriati.

Lavoro: nel 2023 in arrivo Bonus e incentivi per lavoratori e aziende 

Nel 2023 lavoratori dipendenti, ma anche i lavoratori autonomi e i pensionati potranno beneficiare di bonus e vantaggi messi a disposizione del Governo, che ha annunciato una serie di misure per favorire la ripresa economica e creare nuove opportunità di lavoro. Una delle novità più importanti è il Bonus giovani, un contributo a fondo perduto per le imprese che assumono giovani tra i 18 e i 29 anni. Il bonus è destinato a coprire fino al 60% delle retribuzioni lorde dei nuovi assunti e sarà erogato per un periodo massimo di 12 mesi. L’anno appena iniziato si preannuncia quindi positivo per il mercato del lavoro in Italia, con nuove opportunità per i giovani, le donne e le categorie più colpite dalla crisi.

Opportunità per i giovani

Il Bonus occupazione giovani prevede uno sgravio dei contributi previdenziali per i datori di lavoro che nel triennio 2021-2022-2023 assumono giovani under 36, ovvero fino a 35 anni compiuti, pari al 100% Il governo ha anche annunciato un piano di formazione professionale per i lavoratori, al fine di aiutarli ad acquisire nuove competenze e abilità per rimettersi in gioco nel mercato del lavoro.

Rilancio per l’occupazione femminile

Inoltre, ci sarà un ampliamento delle opportunità di lavoro per le donne, con l’introduzione di politiche di conciliazione vita-lavoro e l’istituzione di un fondo per l’occupazione femminile. In particolare, il Bonus assunzioni donne è stato prorogato al 2023, e consiste nella riduzione dei contributi per i datori di lavoro che assumono, a tempo indeterminato o determinato, lavoratrici prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi, o da 6 mesi se risiedono in aree svantaggiate. La Legge di Bilancio 2021 ha incrementato il bonus assunzioni donne portando la decontribuzione dal 50% al 100%, e grazie alla proroga intervenuta con la Legge di Bilancio 2023, anche nel 2023. Vale anche per le assunzioni di donne che lavorano in una professione o in un settore economico caratterizzati da un’accentuata disparità occupazionale di genere.

Agevolazioni per il Meridione, over 50 e la creazione di nuove imprese

Sarà anche possibile accedere a finanziamenti per la creazione di nuove imprese, in particolare per le start up innovative e per i progetti di economia sociale. Tra gli altri bonus e incentivi introdotti o prorogati anche per l’anno in corso, l’Incentivo assunzioni al Sud, che prevede lo sgravio totale dei contributi per un periodo di 48 mesi per i datori di lavoro che assumono disoccupati in alcune aree del Meridione italiano, il Bonus assunzioni reddito di cittadinanza, il Bonus giovani genitori, il Bonus disabili, il Bonus Cooperative, e l’Agevolazione per over 50. In questo caso, le aziende che assumono lavoratori e lavoratrici con più di 50 anni hanno diritto a una decontribuzione del 50%.

Disaster Recovery, cos’è e quante Pmi italiano lo adottano? 

Cos’è il Disaster Recovery? E in cosa si differenzia dal Backup? “Backup e Disaster Recovery hanno due scopi profondamente diversi ma al contempo complementari. Il primo mira a salvaguardare il dato in seguito a cancellazioni, errori umani o in generale perdita dati. Il secondo protegge il sistema nel suo complesso, compreso il sito di erogazione, garantendo una ripartenza in tempi certi ed in qualunque circostanza, anche a seguito di disastri ambientali o catastrofici, andando quindi oltre il concetto di dato ed includendo invece tutto quello che gli orbita intorno” spiega Lorenzo Giuntini, CTO di Aruba. “Visti i pericoli, anche potenzialmente disastrosi, a cui si espone un’azienda priva di questi servizi, la strategia più corretta per la sua tutela è quella di implementare entrambe le soluzioni. Per farlo non esiste un’unica via: la scelta delle soluzioni e delle modalità più adatte passa attraverso un’attenta analisi dei rischi, la classificazione dei dati e la definizione del perimetro di protezione. Solo in questo modo è possibile costruire l’infrastruttura più adeguata a garantire e ad assicurare la continuità operativa aziendale in ogni condizione”.

Non più un piano B

Anche se appare evidente che oggi il il Disaster Recovery non sia più un piano B, ma una componente basilare da considerare in fase di progettazione, resta il fatto che il 68% delle piccole e medie aziende italiane non è intenzionata ad adottare una soluzione di Disaster Recovery neanche nel lungo periodo.  Ripristinare l’accesso e la funzionalità dell’infrastruttura IT a causa di attacchi informatici, interruzioni e guasti, rappresenta per le aziende la soluzione “as a service” più importante da implementare per garantire la propria business continuity. Eppure, il 73% delle PMI italiane non è dotata di un piano di Disaster Recovery. A dirlo è l’indagine condotta da Bva Doxa per Aruba sul tema della conservazione e sicurezza dei dati, e, in dettaglio, sulla disponibilità di piani di Disaster Recovery nelle PMI italiane.

L’80% delle PMI non pianifica l’adozione di un sistema di Disaster Recovery

Stando ai risultati della ricerca, il 68% delle PMI intervistate non è interessato ad introdurre piani per il ripristino dei dati neanche nel lungo periodo. Più in dettaglio, è l’80% delle piccole imprese a non pianificare l’adozione di un sistema di Disaster Recovery neanche nel prossimo futuro, a fronte del 53% delle medie imprese.
Eppure, come già reso noto in una recente Survey targata BVA Doxa-Aruba, 7 aziende su 100 hanno sperimentato una perdita di dati nel corso degli ultimi anni, subendo in media un downtime di quasi 2 giorni e con danni economici non quantificabili per il 43% degli intervistati. Nella stessa indagine, Aruba e BVA Doxa avevano rilevato anche come una PMI su 4 dichiarasse di non disporre neanche di una soluzione di backup; attestando, invece, al 57% la percentuale di aziende dotate di un backup in cloud.

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