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Categoria: Numeri e curiosità Pagina 1 di 3

RC auto, perchè le tariffe sono aumentate così tanto?

A gennaio, il prezzo medio dell’assicurazione Rc auto ha raggiunto i 389 euro, registrando un aumento annuale del +7,5% in termini nominali, leggermente inferiore al +7,9% di dicembre. In termini reali, l’incremento si attesta al +6,7%, secondo quanto comunicato dall’Ivass. I prezzi medi, come evidenziato dall’autorità di vigilanza delle assicurazioni, sono ancora inferiori rispetto al periodo pre-pandemico (406 euro a gennaio 2019).

Analizzando dettagliatamente le province, si osservano aumenti di prezzo variabili dal +3,3% (Catanzaro) al +10,0% (Alessandria). Il differenziale di premio tra Napoli e Aosta è di 250 euro, in aumento del 5% rispetto all’anno precedente. Per coloro appartenenti a classi di merito superiori alla prima, riferisce Adnkronos, l’incremento di prezzo si attesta al 10,4%.

Le obiezioni del Codacons…

Le associazioni di consumatori, ovviamente, non ci stanno. Codacons esprime preoccupazione, sottolineando che l’incremento delle tariffe Rc Auto comporta una maxi-stangata di circa 877 milioni di euro all’anno per gli automobilisti italiani. L’associazione evidenzia che l’aumento del +7,5% a gennaio porta il costo medio dell’assicurazione auto a 389 euro. Considerando i 43 milioni di veicoli assicurati in Italia, di cui 32,5 milioni di autovetture, si stima che questa stangata raggiunga la cifra massiccia di 877 milioni di euro annui solo per la categoria degli automobilisti.

Il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, critica gli aumenti delle tariffe, giudicandoli ingiustificati, soprattutto considerando l’assenza di un aumento corrispondente dell’incidentalità in Italia. Rienzi chiede un intervento del Governo per limitare il potere delle compagnie assicurative e frenare l’escalation delle tariffe, sottolineando l’obbligo per i cittadini di assicurare i propri veicoli, mentre le assicurazioni operano senza limiti tariffari.

…e quelle di Assoutenti

Anche Assoutenti, nel commentare i dati forniti dall’Ivass, denuncia i rincari dell’assicurazione Rc auto a gennaio, che si traducono in una spesa maggiore di +27 euro a polizza rispetto al periodo corrispondente del 2023. L’associazione rileva gravi anomalie nel comparto assicurativo e evidenzia Napoli come la città con le polizze più costose (560 euro in media), seguita da Prato (553,7 euro) e Caserta (500 euro). Al contrario, Enna è la città con l’Rc auto più economica (287 euro), seguita da Oristano (297 euro) e Potenza (299 euro). Incrementi significativi si registrano ad Alessandria, Biella, Lecco e Vercelli, con un aumento del 10%, mentre a Catanzaro l’aumento è del +3,3%.

Il presidente onorario di Assoutenti, Furio Truzzi, denuncia aumenti immotivati che non trovano giustificazione né in un aumento dei costi delle compagnie assicurative, né nell’incremento dell’incidentalità, attribuendoli alle troppe anomalie del comparto assicurativo. 

Casa: metà dello stipendio va in affitto. Firenze, Milano, Roma le più care 

Quale è l’impatto dell’aumento del costo della vita, e in particolare, del caro-affitti, sulle modalità di spesa e di risparmio degli europei? E quanto pesa tale impatto nella valutazione dell’attrattività di un Paese? Risponde l’Indice di vivibilità della banca online N26, lo studio che ha l’obiettivo di individuare i Paesi europei che offrono una migliore qualità della vita.

Tra i vari costi analizzati per definire il ranking dei paesi più vivibili in Europa rivestono particolare importanza quelli relativi all’affitto, soprattutto se analizzati in relazione all’ammontare medio degli stipendi .
E secondo i dati N26, l’Italia si classifica all’ultimo posto del ranking relativo agli affitti. Più della metà dello stipendio degli italiani è infatti destinato a questa spesa. Da questo punto di vista, Firenze, Milano e Roma son le città più care.

In Italia un bilocale in media costa 1.400 euro al mese 

La situazione caro-affitti nel nostro paese ha un impatto non indifferente sugli stipendi mensili degli italiani, che risultano tra i più bassi in Europa. Oltre il 52% del salario infatti è destinato all’affitto, percentuale più elevata tra i Paesi europei considerati, tenendo conto della media nazionale del costo degli affitti per un bilocale, che si attesta attorno ai 1.400 euro.
L’analisi più dettagliata delle città italiane vede Firenze come la più costosa, con una media mensile di costi per affitto pari a 1.806 euro e picchi di 2.200 euro per il centro storico.

Segue Milano, con una media di 1.674 euro mensili, ma torna in vetta se consideriamo il picco più alto di costi per bilocali in centro storico, con circa 2.838 euro mensili. A Roma, invece, terza in classifica, il costo medio degli affitti per un bilocale è sotto la media, con un prezzo medio di 1.200 euro.

Va un poco meglio in Spagna, Paesi Bassi e Regno Unito

Se l’Italia è il fanalino di coda di questa classifica di N26, a precederla tra i Paesi europei troviamo la Spagna, con un prezzo medio di affitto mensile pari a 1.377 euro, i Paesi Bassi, con 1.620 euro circa, e il Regno Unito, con 1.460 euro al mese.

In questi Paesi le percentuali di stipendio da destinare all’affitto sono più basse, rispettivamente di 45% per la Spagna e 37% per i Paesi Bassi e il Regno Unito.

Belgio primo in classifica

Al primo posto della classifica troviamo invece il Belgio, dove l’affitto di un bilocale costa circa 800 euro mensili. Qui gli abitanti destinano solo il 18% del proprio stipendio a questa spesa.

A occupare il secondo e il terzo posto ci sono Svizzera e Danimarca, dove per un bilocale che costa rispettivamente 1.733 euro e 1.159 euro si destina in media il 21% del proprio stipendio mensile.

Ecobonus e incentivi auto 2024: ripartono le prenotazioni per i contributi

Il contributo è rivolto alle persone fisiche o giuridiche che intendono acquistare veicoli non inquinanti di categoria M1 (autoveicoli), L1e – L7e (motocicli e ciclomotori) e N1 e N2 (veicoli commerciali).
Da martedì 23 gennaio 2024 è ripartita la possibilità di inserire sulla piattaforma Ecobonus la prenotazione per il contributo all’acquisto di veicoli non inquinanti. 

L’iter per la richiesta del contributo prevede quattro fasi, prenotazione, erogazione, rimborso e recupero.
L’importo degli incentivi è riconosciuto nella forma di sconto sul prezzo d’acquisto, e varia in base alle emissioni del veicolo, e a una eventuale rottamazione.

Come si richiede e si ottiene il contributo

Durante la prenotazione, il concessionario/rivenditore, una volta completata la registrazione alla piattaforma, procede con la prenotazione del contributo per ogni veicolo, e in base alla disponibilità del fondo, riceve conferma della prenotazione effettuata.

In seguito, il concessionario/rivenditore riconosce al cliente il contributo tramite compensazione del prezzo di acquisto. E il costruttore/importatore del veicolo rimborsa al concessionario/rivenditore il contributo erogato.
Infine, il costruttore/importatore riceve dal concessionario/rivenditore la documentazione utile per recuperare il contributo rimborsato sotto forma di credito d’imposta.

Vecchi e nuovi importi

A oggi, per le auto con emissioni inquinanti tra 0-20 g/km di CO2 (modelli fino a 35mila euro più IVA) ammonta a 5mila euro con rottamazione e 3mila euro senza. A chi acquista auto nella categoria 21-60 g/km di CO2 (fino a 45 mila euro più IVA) possono andare 4mila euro con rottamazione e 2mila euro senza.
Nella fascia 61-135 g/km di CO2 (fino a 35 mila euro più IVA), 2mila euro solo con rottamazione.

Ma i vecchi incentivi, che partono comunque in base a quanto previsto da un precedente Dpcm, saranno ancora disponibili solo per poche settimane perché il ministero, dopo un tavolo con le associazioni di settore previsto per il 1° febbraio, conta di portare alla firma del presidente del Consiglio un nuovo Dpcm al fine di migliorare l’incentivo, tenendo conto dell’andamento del mercato e delle esigenze dei consumatori.

Stanziato circa 1 miliardo di euro 

L’attuale pacchetto stanziato per il 2024 prevede risorse complessive di circa 1 miliardo, e una volta conteggiati i residui non spesi degli incentivi 2023 si valuterà se aggiungere eventualmente ulteriori risorse.
Il nuovo piano sarà presentato il 1° febbraio al tavolo automotive e l’entrata in vigore del nuovo Dpcm è prevista tra marzo e aprile.

In particolare, in base alle nuove norme gli incentivi per auto elettriche partiranno da 6.000 euro (senza rottamazione) e arriveranno a 13.750 euro se si rottama un’auto Euro2 e si ha un Isee sotto 30mila euro.
L’aiuto per l’acquisto di una vettura ibrida, riporta il Sole 24 Ore, andrà invece da 4 a 10mila euro, e quello per un per un’auto a basse emissioni dai 1.500 ai 3.000 euro.

Doni di Natale sgraditi? Il 40% degli italiani li metterebbe in vendita

Regali di Natale poco graditi: secondo una ricerca condotta da mUp in collaborazione con Wallapop, piattaforma specializzata nella compravendita di prodotti second-hand, circa il 40% degli italiani ha dichiarato di voler rivendere i regali indesiderati, come oggetti di decorazione, pigiami e calze, proponendoli su piattaforme dedicate.

I regali meno graditi sembrano essere le decorazioni per la casa e gli indumenti menzionati, con il 25% degli intervistati che li impacchetterebbe nuovamente per regalarli a qualcun altro, mentre il 37% li conserverebbe anche se non ne farebbe uso.

Guadagno extra e shopping responsabile 

La ricerca sottolinea che la vendita di regali indesiderati sulle piattaforme specializzate è particolarmente popolare tra coloro che hanno tra i 25 e i 55 anni. La motivazione principale dietro questa scelta è ottenere un guadagno extra, contribuendo anche a un modello di consumo più responsabile.

Vendere su Wallapop offre vantaggi come un’entrata extra assicurata, poiché il periodo post-natalizio sembra essere propizio per le vendite, con un aumento del 28% rispetto al mese precedente. Secondo un’indagine del portale, è possibile guadagnare fino a 1.247 euro vendendo oggetti inutilizzati, inclusi i regali di Natale non graditi.

Tu non lo vuoi, ma qualcun altro sì

Inoltre, la vendita di regali indesiderati può portare soddisfazione a chi acquista, poiché un oggetto indesiderato per qualcuno potrebbe essere il regalo perfetto per qualcun altro.
La terza settimana di gennaio dello scorso anno è stata quella con il maggior numero di vendite con occhiali da sole, profumi, lampade da tavolo e friggitrici ad aria tra gli oggetti più richiesti.

Un gesto verso il Pianeta

Infine, scegliere piattaforme di second-hand come Wallapop per vendere oggetti indesiderati è considerato un gesto responsabile verso il pianeta. La ricerca di Wallapop condotta da Deloitte evidenzia che circa il 56% dei prodotti messi in vendita su Wallapop non avrebbe prolungato la propria vita utile se non fosse stato venduto.

Chiara Mazza, Senior PR Specialist Italy di Wallapop, sottolinea che, nonostante il periodo natalizio porti a un grande scambio di regali, è possibile che non si trovi il dono perfetto, e in queste situazioni, gli utenti possono scegliere di vendere gli oggetti indesiderati per recuperare parte del denaro e contribuire a un consumo più responsabile.
Insomma, anche il regalo che non ci piace può diventare una risorsa: basta “rimetterlo in circolo”!

In Italia aumenta il numero di imprenditrici nel settore agricolo

In Italia, quasi una su quattro delle imprese è guidata da donne, rappresentando il 22,2% del totale delle aziende nel paese. Questo dato emerge da un’analisi condotta da Coldiretti basata su dati di Unioncamere. L’ascesa delle imprese femminili sta rivoluzionando l’economia italiana e riflette un crescente protagonismo femminile, sia nell’ambito imprenditoriale che in politica. La maggior parte delle imprese femminili opera nel settore del commercio, con 340.000 aziende rappresentative del 25% del totale. L’agricoltura è al secondo posto, con 203.000 imprese (15% del totale), seguita dai servizi di alloggio e ristorazione con 134.000 imprese (10%). Questi dati evidenziano come il settore alimentare, in tutte le sue forme, sia uno dei più popolari tra le imprese femminili.

La campagna è rosa

L’analisi di Coldiretti indica che la percentuale di aziende agricole al femminile è in costante crescita, con il 31,5% delle aziende agricole totali guidate da donne, secondo l’ultimo censimento Istat. Questo aumento riflette il rinnovato interesse delle donne per l’agricoltura, vista come un settore in grado di offrire opportunità di lavoro e crescita professionale, soprattutto considerando che le donne nel settore agricolo sono destinate ad aumentare nel tempo.

Giovani, capaci e qualificate

Le donne imprenditrici agricole sono giovani e altamente qualificate, con il 25% di loro laureate. Molte di loro provengono da percorsi di studio o esperienze in settori diversi, decidendo di intraprendere l’agricoltura come una nuova opportunità di vita. Queste donne rappresentano una parte significativa delle richieste di primo insediamento in agricoltura, soprattutto tra i giovani.

Più di una attività connessa alla produzione primaria

Oltre il 50% delle donne in agricoltura svolge più di una attività connessa alla produzione primaria, tra cui la vendita diretta, l’agriturismo e la trasformazione di prodotti agricoli. Molte di loro si dedicano all’agricoltura biologica e biodinamica, contribuendo a una filiera di qualità e sostenibile, attenta alla biodiversità e al benessere animale.
Queste donne imprenditrici agricole creano legami profondi con il territorio e svolgono un ruolo cruciale nella sopravvivenza e valorizzazione delle aree rurali. Il loro impegno nell’innovazione e nell’offerta di nuovi servizi alle comunità rurali è un importante contributo alla crescita delle aree rurali in Italia. Il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, ha sottolineato il ruolo primario delle donne nell’agricoltura e la loro capacità di innovare e affrontare sfide imprenditoriali. 

Cara Italia, viaggiare nel 2023 costa troppo

Oltre 5 milioni di italiani non sono partiti per le vacanze estive a causa degli aumenti generalizzati dei prezzi. Aumenti che nella migliore delle ipotesi hanno eroso la capacità di risparmio delle famiglie, e nella peggiore hanno intaccato i risparmi accantonati negli anni passati, pregiudicando la possibilità di concedersi un viaggio. Secondo l’indagine di Facile.it e Consumerismo No Profit gli italiani che nonostante tutto sono riusciti a mettere da parte un piccolo budget da destinare alle ferie hanno però dovuto fare i conti con un secondo problema, il caro-vacanze. Così, circa 3,2 milioni di italiani alla fine hanno deciso di rinunciare a partire. Soprattutto i giovani tra 18-24 anni, di cui il 53,8% è restato a casa per questa motivazione.

Treni, aerei e benzina

Secondo l’indagine i prezzi dei treni sono in linea con i periodi precedenti, e tranne acquisti dell’ultimo minuto non hanno subito grandi oscillazioni. Diversamente, i voli nazionali ed esteri sembrano aver subito incrementi anche oltre il 50%. Anche chi sceglierà di raggiungere la destinazione estiva con il proprio veicolo dovrà fare i conti con l’aumento del prezzo del carburante. Da giugno a fine luglio i prezzi di diesel e benzina sono aumentati rispettivamente dal 6% al 12% e dal 5% all’11%. Ma i prezzi potrebbero essere decisamente più elevati se ci si rifornisce in autostrada, dove le tariffe tendono a essere più alte.

Hotel e stabilimenti balneari

I prezzi di hotel, B&B e case vacanza hanno raggiunto il picco storico. Per una sola notte in B&B o hotel in due a Roma la spesa media si aggira intorno a 150 euro. A Milano anche 180, e paradossalmente anche località fino a qualche tempo fa più economiche, come Napoli e Palermo, ormai sembrano essere diventate mete solo per chi può spendere molto. Quanto alle spiagge, una giornata in spiaggia libera può costare anche il 75% in meno di una giornata presso uno stabilimento attrezzato, dove attualmente i prezzi giornalieri oscillano tra 30 e 50 euro per due lettini e un ombrellone.

Ristoranti e gelati

Non sedersi a tavola prima di aver visto i prezzi. Preferire i giorni della settimana meno affollati. Attenzione al costo di vini e alcolici, che spesso determinano anche il 50% dell’importo del conto. Sono le buone abitudini da osservare per non farsi andare di traverso il boccone.
Ma è il prodotto tipico dell’estate quest’anno a essere particolarmente salato. Il gelato sta infatti registrando sensibili rincari: a maggio l’incremento medio è del +22% rispetto al 2022.
A pesare sui listini è l’incremento dei costi delle materie prime, come uova, zucchero, frutta, ma anche il caro-energia che determina aggravi dei costi di produzione. A crescere sono i prezzi dei gelati venduti ai supermercati, nei bar, ma anche coni e coppette delle gelaterie. A Roma nelle zone più turistiche un cono piccolo da due gusti supera i 4 euro.

Il cappotto verde sugli edifici? Riduce di 1 grado il clima nelle città

Durante l’estate, il cosiddetto “cappotto verde” sugli edifici, costituito da tetti e muri esterni ricoperti di vegetazione, ha dimostrato di ridurre di oltre 1 °C la temperatura dell’aria nelle città. Questo è ciò che emerge da uno studio condotto dall’ENEA e pubblicato su Energy and Buildings, che ha valutato l’efficacia dell’utilizzo diffuso di soluzioni green per contrastare le isole di calore nelle zone urbane densamente popolate di Roma e Torino, concentrandosi su una tipica giornata estiva.

I test da Roma a Torino

I ricercatori ENEA del Dipartimento di Efficienza Energetica hanno simulato tre scenari di mitigazione, ciascuno caratterizzato da diverse combinazioni di soluzioni green. A Roma, il scenario più efficace nel ridurre le temperature prevede l’utilizzo di 12mila m2 di tetti verdi in combinazione con 60mila m2 di facciate verdi, il che ha portato a una riduzione media della temperatura di 0,33 °C, con picchi fino a 1,17 °C alle ore 15. La ricercatrice ENEA Tiziana Susca, che ha lavorato allo studio insieme ai colleghi Fabio Zanghirella e Vincenzo Del Fatto, spiega che il merito principale di questo abbattimento della temperatura va attribuito alle pareti verdi, il cui effetto è maggiore quanto più alto è l’edificio. Al contrario, i tetti verdi estensivi si sono dimostrati inefficaci nel mitigare direttamente il riscaldamento urbano quando installati su edifici alti, ma sono comunque utili per ridurre la temperatura interna delle abitazioni e, di conseguenza, l’uso dell’aria condizionata.A Torino, sono stati registrati circa 0,5 °C di riduzione della temperatura esterna dell’aria in due scenari che prevedevano rispettivamente 6mila m2 di “living wall” e altrettanti di facciate verdi sugli edifici. Entrambi i casi riguardavano abitazioni situate lungo canyon urbani, paralleli alla direzione principale del vento, una condizione favorevole per disperdere il calore accumulato.

Meno efficaci durante le giornate caldissime, però…

Gli studiosi hanno anche evidenziato che durante le ondate di calore, le soluzioni green hanno un’efficacia leggermente inferiore rispetto a una tipica giornata estiva, poiché il fenomeno climatico estremo riduce il potenziale di raffreddamento delle piante a causa della chiusura degli stomi, le piccole aperture sulle foglie attraverso cui avviene lo scambio gassoso con l’esterno.

Uno strumento per contrastare gli effetti dell’urbanizzazione

La ricerca dell’ENEA è particolarmente rilevante considerando che l’urbanizzazione sta crescendo rapidamente. Nel 2016, le aree urbane coprivano quasi il 1,29% della superficie terrestre, e la popolazione urbana rappresentava il 54,4% della popolazione globale. Secondo le stime delle Nazioni Unite, questa percentuale raggiungerà il 68,36% entro il 2050, portando a un ulteriore aumento delle temperature urbane superficiali a causa dell’urbanizzazione in aumento. Le previsioni relative agli scenari di espansione urbana indicano che, in un contesto basato sull’utilizzo di combustibili fossili, l’Europa potrebbe subire un ulteriore aumento medio delle temperature superficiali pari a 0,12 °C in estate entro il 2100.

Un terzo delle imprese innovative è in Lombardia

Quasi 110.000 imprese, oltre il 30%, delle circa 359.000 imprese più innovative presenti su tutto il territorio nazionale, si concentra in Lombardia. Lo attesta lo studio di marketing intelligence realizzato da CRIF. Lo studio ha preso in esame le imprese che mostrano un elevato grado di innovazione, misurato con il livello 1 e 2 dell’Innovation Score di CRIF. I criteri considerati vanno dallo sviluppo di brevetti innovativi all’approccio smart al business, dagli investimenti in ricerca e sviluppo all’attività di export. E se nella regione lombarda si concentra il maggior numero di imprese innovative del paese, sul podio a livello regionale si piazza anche il Lazio, con 45.000 imprese innovative (12,5%), seguito dal Veneto, con oltre 38.000 (10,7%). Fanalino di coda è il Mezzogiorno, con regioni quali Sicilia e Puglia che non superano le 10.000 imprese innovative, o addirittura le 5.000 in Calabria e Sardegna.

Piccole per numero di addetti e votate all’ICT e alla consulenza

In generale, le imprese individuate dallo studio presentano fatturati e numero di dipendenti non troppo elevati. Circa il 60% delle realtà più innovative conta infatti meno di 5 dipendenti e fattura meno di 5 milioni di euro. Analizzando, invece, i primi 10 settori merceologici di provenienza delle imprese innovative lo studio evidenzia come il settore ICT continui a mantenere un valore predominante, in particolare, la Produzione di software, insieme a quello della consulenza.

Il 74% è una società di capitali

Quanto alla forma legale delle imprese a maggiore innovazione emerge che nel 74% dei casi si tratta di società di capitali, quindi, realtà maggiormente strutturate e patrimonializzate.
A confermare la solidità di queste imprese è anche l’indicatore di affidabilità calcolato da CRIF: nel 65% dei casi le imprese innovative sono anche quelle più affidabili con rischio minimo o più basso della media.

Come supportarle nella crescita?

“I player finanziari avranno un ruolo chiave nel supportare lo sviluppo di queste imprese innovative – commenta Elena Mazzotti, Chief Client Innovation & Strategy di CRIF -. A fare la differenza sarà la capacità di individuare correttamente il loro profilo e di affiancarle nel percorso di crescita da un punto di vista finanziario e consulenziale, sviluppando un’offerta di servizi che vada a coprire non solo le esigenze di credito, ma anche altri bisogni connessi al ciclo di vita dell’impresa. Ad esempio, internazionalizzazione, piani di transizione verso una produzione sostenibile, advisory connessa all’utilizzo del PNRR e delle fonti di finanza, e coperture assicurative specifiche per differenti tipi di rischi”.

Il settore turistico non conosce i propri clienti

Il percorso delle aziende verso la creazione di una relazione coerente e integrata con i turisti è ancora lungo. Il settore turistico italiano non conosce i propri clienti: solo il 6% delle imprese turistiche ha una buona conoscenza di profili, gusti e preferenze dei visitatori, mentre il 38% non ne ha nemmeno una conoscenza sufficiente. Secondo il rapporto sulla digitalizzazione dei canali di vendita nel settore turistico, realizzato dagli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano in collaborazione con Minsait, solo il 2% delle aziende ha instaurato con i clienti una relazione continuativa, mentre il 37% riesce a farlo solamente su alcuni canali di contatto o per alcune categoria di clienti o attività.
E quasi due terzi delle imprese interagisce con i clienti solo nel momento dell’effettiva vendita o fruizione del servizio.

L’immaturità si ripercuote sulla qualità dell’offerta

Una situazione di immaturità che impedisce di avere una visione completa dei turisti nazionali e internazionali che scelgono l’Italia come destinazione. Solo il 27% delle imprese del settore ha infatti raggiunto la cosiddetta Single Customer View, mentre il 43% ha iniziato a costruirla solo con alcuni dati a disposizione, e tra i rimanenti, circa un terzo non ha ancora integrato nessuna tipologia di dato.
Tutto ciò si ripercuote sulla qualità dell’offerta in un settore centrale per l’economia italiana.

La chiave per un turismo intelligente

 “Dobbiamo essere aperti alla rivoluzione tecnologica e digitale per avvicinare le nostre meraviglie nel modo migliore ai nostri visitatori – afferma Alberto Bazzi, direttore di Digital Business Technologies di Minsait Italia -. E questo significa concentrare l’innovazione in tre aree prioritarie: Dati, Customer Experience e Phygital”.
Nel turismo italiano, i principali canali di contatto utilizzati nella relazione con i visitatori sono social network, siti web proprietari, email e contact center, presidiati dalla quasi totalità delle imprese del settore. Per quanto riguarda i canali transazionali, emergono le strutture ricettive (hotel e i villaggi vacanze) e i siti web, che svolgono un ruolo chiave anche nelle attività di customer relations e comunicazione unidirezionale, affiancati dalle agenzie viaggi, social network, contact center e siti di aggregatori online.

L’integrazione digitale è ancora lontana

Tuttavia, la presenza in questi canali non garantisce un’efficace integrazione dei dati raccolti. Il settore, infatti, non ha ancora raggiunto una vera omnicanalità. Solo il 16% delle aziende è in grado di tracciare i propri clienti su tutti i canali, mentre il 60% riesce a farlo solamente su alcuni (ad esempio, quelli digitali). Il 24% delle imprese non è invece in grado di riconoscere i clienti quanto si interfacciano con i canali aziendali. Il 51% delle aziende turistiche, però, ha iniziato a raccogliere le informazioni in un singolo database o in più database comunicanti tra loro, sebbene resti ancora lontana una vera integrazione digitale. Le imprese non hanno infatti ancora un’infrastruttura tecnologica evoluta, come un’architettura a microservizi, o un Digital Integration Hub.

Pagamenti digitali: 397 miliardi di euro di transato nel 2022 

In Italia il transato con strumenti di pagamento digitale continua a crescere a doppia cifra, e nel 2022 raggiunge 397 miliardi, pari al 40% dei consumi.  Si tratta di un valore che include sia i pagamenti basati su carte e wallet (390 miliardi di euro, in crescita del +18% rispetto al 2021), sia i pagamenti basati su conto corrente, corrispondenti a 7 miliardi di euro di transato. La crescita generale si riflette su tutte le componenti, sia su quelle più tradizionali, come le carte, dove i pagamenti Contactless raggiungono 186 miliardi di euro (+45% sul 2021), sia sui nuovi metodi di pagamento, gli Innovative Payments, che registrano un valore di 20,3 miliardi (+107%). Sono alcune evidenze emerse dall’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano.

Mobile e Wearable

All’interno degli Innovative Payments, sono Mobile e Wearable a rappresentare le due componenti fondamentali della crescita. Nel corso del 2022, infatti, gli italiani hanno usato sempre di più smartphone o dispositivi indossabili per effettuare pagamenti in negozio, per un totale di 16,3 miliardi di euro di transato (+122% rispetto al 2021). Lo smartphone è inoltre centrale anche nelle sperimentazioni di nuove versioni delle valute di banca centrale, le cosiddette Central Bank Digital Currency (CBDC). I progetti più avanzati in questo ambito sono concentrati nei Paesi Asiatici, ma anche l’Unione Europea ha avviato i lavori per implementare il cosiddetto Euro Digitale, e sta considerando lo sviluppo di un’app che ne permetta l’utilizzo in negozio, in modalità contactless o con QR code, e anche online.

Buy Now Pay Later

Tra i servizi correlati al pagamento che stanno destando sempre più interesse tra i consumatori c’è sicuramente il Buy Now Pay Later (BNPL). La sua crescita ha caratterizzato il 2021 e si conferma anche nel 2022, contribuendo in maniera significativa all’incremento generale dei pagamenti digitali. Il 13% degli italiani ha dichiarato di avere già utilizzato questo tipo di servizio per uno o più acquisti online e/o in negozio, mentre il 33% è intenzionato a servirsene in futuro (67% se si considerano anche gli indecisi). Nel 2022 le transazioni BNPL hanno raggiunto i 2,3 miliardi di euro, con una crescita del +253% rispetto al 2021. L’86% del valore, inoltre, riguarda acquisti effettuati su Internet, un risultato che porta il BNPL a rappresentare circa il 4% di penetrazione nel mondo online.

Digital Wallet e identità digitale

A livello europeo cresce poi l’attenzione sui Digital Wallet, con particolare attenzione al tema dell’identità digitale come abilitatore, non solo, di pagamenti. La recente revisione del regolamento eIDAS ha proprio lo scopo di introdurre nel 2024 l’European Union Digital Identity Wallet (EUDI wallet), un insieme di servizi certificati che permette agli utenti di richiedere, conservare e condividere le informazioni personali per accedere ai servizi online e firmare documenti elettronici.

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