Una goccia nel mare

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Arrivano i saldi: il budget medio è circa 160 euro

A quanto emerge dal sondaggio condotto da Fismo, federazione dei negozi specializzati in moda di Confesercenti, insieme a IPSOS, il 72% dei consumatori italiani si dichiara interessato ad acquistare almeno un capo in saldo. Ma c’è un ulteriore 23% che deciderà in base alle offerte. I saldi invernali 2023, il primo grande appuntamento commerciale dell’anno, sono iniziati in tutta Italia. Dopo la partenza anticipata al 2 gennaio in Basilicata e Sicilia, a cui è seguita la Valle d’Aosta il 3 gennaio, giovedì 5 gennaio i saldi si sono aperti anche in tutte le altre regioni. E gli italiani dichiarano di avere ‘stanziato’ un budget medio per gli acquisti di circa 160 euro a persona.

Nel Centro Italia si spenderà di più: 216 euro

Ad avere già stabilito un budget è il 62% di chi è interessato ai saldi. La media di 160 euro nasconde però una spesa media fortemente diversificata a livello regionale. Nel Centro Italia infatti si spenderanno in media 216 euro, un budget sensibilmente più alto di quello allocato mediamente nelle regioni del Nord e del Sud (rispettivamente 148 e 147 euro). Anche l’analisi per genere ed età restituisce divari. A spendere di più saranno gli uomini, con 195 euro circa di spesa media pro capite, contro 125 euro delle donne, 182 euro degli over 35 e 115 dei più giovani.  

Un evento legato allo shopping nei negozi fisici

Ad attendere l’apertura delle vendite di fine stagione sono soprattutto le donne: 3 su 4 sono interessate all’acquisto, contro il 69% degli uomini. A livello territoriale, invece, la maggiore percentuale di intenzionati a comprare si registra nelle regioni del Sud e nelle Isole, dove il 76% vuole approfittare dei saldi. Una quota che scende al 72% al Nord e al 68% nel Centro.  Ma dove si compra? Nonostante la concorrenza del web, i saldi rimangono un evento legato all’esperienza di shopping nei negozi. L’89% di chi parteciperà ai saldi acquisterà presso un punto vendita fisico, mentre il 59% si rivolgerà al canale online. I negozi sono preferiti soprattutto da over35 (90%) e al Centro Italia (92%). 

Maglioni, scarpe e biancheria intima 

Nel 2023 in cima ai desideri degli italiani ci sono i maglioni. A progettare di acquistarne almeno uno è il 63% degli intervistati (68% al Sud), quota leggermente superiore a quella dei consumatori interessati alle scarpe (62%), acquisto tradizionale dei saldi invernali. Seguono, abbigliamento intimo (41%), gonne e pantaloni (39%), magliette, canottiere e top (35%), camicie e camicette (33%), e borse (31%). Il 30% proverà invece a portarsi a casa un capospalla a prezzo scontato.
Il 28% cercherà invece abiti e completi, mentre il 26% approfitterà dei saldi per un nuovo foulard, una sciarpa o un cappello. E se il 22% cercherà un’occasione per la biancheria per la casa, il 20% punta ad acquistare un prodotto di piccola pelletteria, come portafogli o portacarte, e il 18%, cinture.

L’importanza della sicurezza in casa in ogni occasione

Articolo in evidenza

Quello della sicurezza in casa è un tema molto d’attualità e che riguarda non solo il rischio di potenziali intrusioni, ma anche gli incidenti domestici e la prevenzione di infortuni.

In questo articolo, esamineremo alcune misure di sicurezza che possono essere adottate per proteggere al meglio la nostra casa ed i nostri familiari.

Prevenire le intrusioni

Uno dei rischi più evidenti legati alla sicurezza in casa è quello delle intrusioni da parte di malintenzionati.

Per proteggere la nostra abitazione, è importante installare sistemi di allarme efficaci e serrature di nuova generazione (vedi il cilindro europeo), nonché tenere sempre chiusi i portoni d’ingresso e le finestre quando non siamo in casa.

Inoltre, è opportuno fare in modo che la nostra abitazione sia ben illuminata dalla strada, e dunque che vi siano luci sufficienti sia all’interno che all’esterno della casa.

Proteggere i bambini

Un altro aspetto cruciale della sicurezza in casa riguarda la protezione dei bambini. I bambini sono particolarmente vulnerabili agli infortuni domestici, i quali possono verificarsi a causa di cadute, e ustioni, ma anche situazioni molto più pericolose come ad esempio le cadute dall’alto.

Per questo motivo, per proteggere i più piccoli, è importante installare dispositivi di protezione come parapetti per le scale e grate di sicurezza alle finestre, per impedire qualsiasi tipo di spiacevole episodio o lancio di oggetti.

Inoltre, è importante tenere lontano dalla portata dei bambini prodotti tossici di qualsiasi tipo e oggetti pericolosi come forbici o coltelli.

Evitare gli incendi

Gli incendi domestici rappresentano un altro importante rischio che può essere mitigato adottando determinate misure di sicurezza.

È importante installare per questo degli appositi rilevatori di fumo in ogni stanza di casa e assicurarsi che siano sempre funzionanti.

Inoltre, è necessario fare attenzione durante la cottura dei cibi e non lasciare mai la cucina incustodita se si sta utilizzando il forno o il gas.

È inoltre opportuno tenere lontani dalla portata dei bambini eventuali accendini o fiammiferi e fare attenzione a non fumare in prossimità di materiali infiammabili.

Proteggere la casa dall’acqua

L’acqua può causare danni significativi ad una abitazione, soprattutto se si verificano perdite o allagamenti durante la nostra assenza.

Per prevenire eventuali danni dovuti all’acqua, è importante verificare regolarmente che tubi e rubinetti siano in buone condizioni e non presentino alcun tipo di perdite o danneggiamenti.

Inoltre, è necessario fare attenzione a non lasciare i rubinetti aperti o la doccia in funzione quando ci allontaniamo, anche solo per un paio di minuti, da una stanza.

In caso di tempeste o alluvioni, è importante prendere determinate precauzioni sia per proteggere la casa che gli arredi: ad esempio, è possibile spostare in anticipo i mobili al piano superiore prima che il livello d’acqua salga ulteriormente, o utilizzare sacchi di sabbia per proteggere porte e finestre.

Mantenere l’ambiente sicuro

Per garantire la totale sicurezza in casa, è anche importante riuscire a mantenere l’ambiente in ordine e senza che vi siano ostacoli.

È necessario per questo fare attenzione a non lasciare oggetti pericolosi in giro e a riporli al loro posto quando non vengono utilizzati.

Inoltre, è importante fare attenzione a non sovraccaricare le prese elettriche o utilizzare cavi danneggiati, poiché questi possono essere causa di incendi o scosse elettriche.

Considerazioni finali

In conclusione, la sicurezza in casa è un tema molto delicate che facciamo bene a considerare sempre, soprattutto in presenza di bambini, e che riguarda non solo il rischio di intrusioni, ma anche gli incidenti domestici e la prevenzione di infortuni.

Adottando alcune misure di sicurezza come l’installazione di sistemi di allarme e dispositivi di protezione, mantenendo l’ambiente privo di ostacoli e prestando attenzione ai potenziali rischi di incendi e scosse elettriche, possiamo veramente proteggere la nostra casa e le nostre famiglie e le persone a noi più care.

Carte elettroniche: sono oltre 2,8 milioni gli italiani truffati

Secondo l’indagine commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat, in un anno più di 2,8 milioni di nostri connazionali (6,5%) sono stati truffati nell’ambito dei pagamenti digitali con le carte elettroniche, per un danno economico medio pari a 196 euro. Più di una frode su 3 (37,7%), nel caso delle carte, è passata tramite un’email, mentre il 28,8% attraverso un falso sito web. Il 26,7%, invece, è stata portata a termine tramite un sms. Con il Natale alle porte e i siti di e-commerce presi d’assalto, basta poco per cadere in trappola. Sono infatti moltissimi gli italiani che in soli dodici mesi hanno subito una truffa nell’ambito delle carte elettroniche.

Il 30,8% non ha sporto denuncia

Come si comportano i truffati dopo aver subito una frode legata a una carta di debito, credito o prepagata? Il 30,8% ha deciso di non denunciare. Molti, più di 2 su tre, non lo hanno fatto per ragioni economiche, perché il danno era basso o erano sicuri di non recuperare quanto perso, mentre l’11% non ha sporto denuncia per motivi di natura psicologica: ‘si sentivano ingenui per esserci cascati’ o ‘avevano paura di essere scoperti dai familiari’.
Le vittime predilette sono soprattutto gli uomini (7,2% vs 5,9% donne), gli appartenenti alla fascia anagrafica 18-24 anni (13,3%), e a dispetto di quanto si possa pensare, chi ha un titolo di studio universitario (7,1% rispetto al 6,2% rilevato tra i non laureati).

Le regole per mettersi al riparo dai malintenzionati

Per aiutare a riconoscere i rischi quando si utilizzano carte di credito, debito o prepagate, Facile.it ha pubblicato un podcast con alcune regole da seguire per mettersi al riparo dai malintenzionati. Anzitutto, per tenere sempre sotto controllo i movimenti della carta, è possibile attivare le notifiche sms o quelle dell’app della banca per ricevere un messaggio ogni volta che viene utilizzata una carta collegata al conto. L’estratto conto poi non è da sottovalutare. Il riepilogo delle spese è molto importante sia per monitorare le uscite sia per rilevare eventuali anomalie ed errori di pagamento. E attenzione ai pagamenti non tracciati. Quando si fanno acquisti online diffidare da richieste di pagamenti non tracciati, come ad esempio la ricarica di una carta prepagata: è proprio questa la modalità preferita dai malfattori.

Evitare di scaricare programmi illegali

Allo stesso modo, è bene fare attenzione anche ai siti che non permettono metodi di pagamento alternativi alla carta di credito.
Ma che sia tramite smartphone o computer, quando si opera online è importante dotare il dispositivo di un antivirus per proteggerlo da eventuali intrusioni. Evitare, inoltre, di scaricare programmi craccati o illegali perché possono rappresentare un pericolo per la sicurezza del device e del conto corrente. Inoltre, per evitare che una volta sottratta la carta venga usata liberamente, il consiglio è di non tenere mai il codice di sicurezza nel portafoglio insieme alla carta. In ogni caso, meglio camuffarlo per non renderlo riconoscibile.

Black Friday 2022: i prodotti della Tecnologia di consumo a -1,3% 

Durante la settimana del Black Friday 2022, dal 21 al 27 novembre 2022, il mercato italiano della Tecnologia di consumo ha registrato vendite per un controvalore pari a 492 milioni di euro, ma rispetto al 2021 segnano un -1,3%. Un trend lievemente negativo, quindi, nonostante in ripresa rispetto alle settimane precedenti. Dopo la forte crescita nel 2021 negli ultimi mesi il settore della Tecnologia di consumo ha iniziato a mostrare segnali negativi. Le ragioni sono ascrivibili all’effetto saturazione di alcuni settori, risultati in forte crescita nei due anni precedenti, come l’IT e l’Office, ma anche alle difficoltà del contesto economico legate all’inflazione, l’incremento dei costi dell’energia e le crescenti incertezze dei consumatori.

Rispetto al 2019 il valore del mercato aumenta del +2%

Le rilevazioni effettuate da GfK sul Panel Weekly per le categorie più importanti del mercato della Tecnologia di consumo, tra cui TV, PC, Smartphone, Tablet, Frigoriferi, Lavatrici, Aspirapolvere, e Stampanti mostrano un calo del -1,3% rispetto al Black Friday 2021. 
Rispetto al fatturato della settimana media riferita all’ultimo anno si registra però un incremento del +125%. E confrontando il dato 2022 con il Black Friday 2019 il valore del mercato è aumentato del +2%, evidenziando una buona performance rispetto al periodo pre-pandemico.

Cresce il canale online: +9%

Per la settimana del Black Friday le vendite tramite internet contribuiscono al 37% del fatturato totale. Cresce infatti soprattutto il canale online (+9%), mentre rallentano i punti vendita tradizionali (-7%). 
I comparti che hanno ottenuto la migliore performance sono stati l’Home Comfort (+14%), Piccolo Elettrodomestico (+12%), Informatica e Office (+4%) e Telefonia (+4%). Quanto alle tre categorie più importanti in termini di fatturato, crescono gli Smartphone (+4%), mentre PC Portatili (-4%) e TV (-17%) risultano in calo rispetto allo scorso anno. Escludendo queste due ultime categorie dal perimetro dei prodotti il mercato segnerebbe un dato positivo.

L’impatto delle attività promozionali è del 41% sui volumi venduti

Rispetto al Black Friday 2021 i prodotti che hanno registrato le crescite più rilevanti sono stati i Mediatablets (+44%). Molto positivi anche i Condizionatori (+34%) e i Forni a Microonde (+26%), le cui vendite sono legate al risparmio sul consumo di gas domestico. Inoltre, rispetto agli ultimi anni è tornato a crescere l’impatto delle attività promozionali nella settimana del Black Friday, arrivando al 41% dei volumi venduti, con un taglio prezzo di almeno il 15%.

Gelato, un business ghiotto: vale 2 miliardi di euro l’anno

E’ uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy, apprezzato ed esportato in tutto il mondo. E’ il gelato artigianale, tra i prodotti più amati della tradizione gastronomica tricolore. Ma questo prodotto ha anche un valore economico di tutto rispetto: circa 2 miliardi di euro l’anno. Insomma, un comparto che muove oltre 70mila posti di lavoro, come rivela l’ultima indagine della Cgia di Mestre, realizzata appositamente per la Mig 2022, Mostra internazionale del gelato a Longarone Fiere.

Artigianale è meglio

Lo studio della Cgia di Mestre prende le mosse da un’analisi complessiva del comparto del gelato, all’interno del quale l’artigianato occupa oltre i tre quarti delle sedi d’impresa e la metà degli addetti, e rappresenta la componente più tradizionale e apprezzata (anche se non è facilmente individuabile da dati e numeri, in quanto i Codici Ateco sono differenti e non attribuiti in maniera esclusiva al gelato artigianale). L’intero comparto del gelato, individuato dai codici Ateco insieme alle pasticcerie, conta al 30 settembre 2022 18.885 sedi di impresa attive per un totale di 25.528 localizzazioni e 76.778 addetti. Si tratta di un comparto in crescita costante dal 2014 in avanti, con un aumento delle localizzazioni che ha conosciuto una sosta solo nel 2020, anno del Covid. Tuttavia, i numeri sono stati prontamente recuperati nel biennio 2021-2022. 

Oltre 15mila imprese e 21mila punti vendita

Il mondo artigiano (inserito per la gran parte nei Codici Ateco 56.10.3 “Gelaterie e pasticcerie” e 56.10.41 “Gelaterie e pasticcerie ambulanti”) viene stimato nel report Cgia in 15.719 imprese, per un totale di oltre 21mila punti vendita, circa 62 mila addetti interessati e 30mila unità di lavoro sostenute dai ricavi del gelato artigianale.
Un mondo che si muove e lavora dietro a coni e coppette. E in grado di muovere circa 2 miliardi di euro l’anno. Secondo le stime della Cgia, il fatturato del comparto del gelato si aggira sui 2,1 miliardi, di cui poco meno della metà ascrivibili al solo settore artigianale. Il consumo di gelato da parte dei residenti è di circa 1,7 miliardi di euro – secondo l’Istat ogni famiglia in Italia nel 2021 ha speso quasi 70 euro in gelato – ma va aggiunto anche l’apporto dei turisti.
“Il comparto della gelateria è un settore che tutto sommato dimostra una certa tenuta” commenta il segretario della Cgia di Mestre, Renato Mason. “Pur tra mille difficoltà, ordinarie – il peso della burocrazie e il livello della pressione fiscale – e straordinarie – il lockdown, la crisi energetica, l’aumento dei tassi di interesse – continua ad assicurare occupazione e a produrre ricchezza”.

La produzione? Soprattutto in Lombardia 

A livello territoriale, i laboratori di produzione artigianale del gelato sono concentrati soprattutto in Lombardia (2.120 sedi di impresa), Sicilia (1.610), Campania (1.564), Lazio (1.453), Veneto (1.305) ed Emilia Romagna (1.235). La densità delle sedi attive mette in cima alla classifica le province siciliane, le località marittime di Calabria, Toscana e Liguria, ma anche le province venete, in particolare Venezia (37 sedi ogni 100mila abitanti) e Belluno (38 sedi ogni 100mila abitanti). Non per niente la provincia dolomitica è riconosciuta come patria del gelato artigianale, luogo d’origine di grandi maestri gelatieri che da 63 anni propone la Mig – Mostra internazionale del gelato.

Smart home e dispositivi intelligenti: tendenze e propensione all’acquisto degli italiani 

Secondo la ricerca Smart home e dispositivi personali smart: il punto di vista dei consumatori italiani, realizzata da UL Solutions in collaborazione con BVA Doxa, in Italia cresce l’adozione di prodotti consumer con funzionalità smart connessi: il 77% degli italiani è propenso all’acquisto di un dispositivo per la smart home entro i prossimi due anni, e il 67% è interessato a comprare almeno un oggetto smart personale. Tra i criteri di scelta rientrano soprattutto la comunicazione trasparente sui rischi per la privacy o la salute (48%), un’app di gestione del dispositivo con ottime recensioni (45%), e la certificazione da parte di un ente indipendente (43%). Quest’ultima, in particolare, convince più della fiducia nel brand (38%), passaparola (36%) e consigli del venditore (20%). Tra i fattori che frenano l’adozione emergono i timori legati alla sicurezza (30%) e ai rischi per la salute.

Gli smartworker sono più connessi

I lavoratori in smartworking mostrano una propensione maggiore all’acquisto di prodotti smart. Sono più frequentemente uomini (+8%), tendenzialmente più giovani, con una concentrazione (+7%) nella fascia di età 35-54 anni. La necessità principale per gli smartworker è monitorare e gestire l’ambiente domestico da remoto riducendo i consumi: l’acquisto di termostati e climatizzatori smart registra infatti un +11% rispetto al totale degli intervistati. Ma la tendenza ad acquistare più prodotti smart da parte di chi lavora in remoto risulta ancora più evidente dalla crescita degli smart device personali (+12%), in particolare, prodotti per l’health monitor (+9) e oggetti smart indossabili (+7%).

Dal fitness alla gestione della casa: i dispositivi più acquistati

Tra le categorie di dispositivi smart personali, gli oggetti indossabili connessi per fitness e tempo libero sono i più acquistati negli ultimi 2-3 anni (31%), mentre gli acquisti di dispositivi per la smart home hanno riguardato principalmente la gestione della casa e l’entertainment (60%). In particolare, elettrodomestici e dispositivi smart per la sicurezza (39%) e dispositivi per l’efficientamento energetico (34%). Le principali ragioni d’acquisto? Comodità, capacità di gestire apparecchi ed elettrodomestici a distanza, e la possibilità di rendere più sicura la propria casa.
La propensione agli acquisti futuri invece vede in cima alla classifica i dispositivi per il controllo dei consumi e risparmio energetico, e a livello di categoria, i dispositivi di sicurezza (51%).

Cosa richiedono i clienti e cosa preoccupa

Per tutte le tipologie dei prodotti (gestione della casa ed entertainment, elettrodomestici, safety&security, efficienza energetica, dispositivi personali), emerge una richiesta di miglioramento delle funzionalità e una maggiore chiarezza nel comunicare i vantaggi offerti dal loro utilizzo. Colpisce la necessità di maggiore protezione della privacy espressa da coloro che hanno acquistato dispositivi per il fitness (35%), indice dei timori per la sicurezza e la riservatezza dei propri dati. Il giudizio in merito alla facilità di installazione e configurazione varia invece a seconda della tipologia di prodotto. Circa 8 utenti su 10 si sono occupati personalmente dell’installazione dei dispositivi acquistati. Per le altre categorie, la procedura di installazione appare più complicata.

Come è stato il mercato della Sharing Mobility nel 2021?

Secondo i dati del 6° rapporto dell’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility, il fatturato complessivo del settore nel 2021 è in crescita del 52% rispetto al 2020, raggiungendo 130 milioni di euro.
Malgrado le limitazioni dovute alle misure di contenimento, la Sharing Mobility mostra segnali di ripresa, e nelle città italiane continua a crescere come nel periodo pre pandemia. Nel 2021 si raggiungono 35 milioni di noleggi (+61% vs 2020 e +25% vs 2019) e 133,4 milioni di chilometri percorsi (+44% vs 2020 e +0,3% vs 2019). Inoltre, aumentano le corse, ma per tratti più brevi, quasi a testimoniare la capillarità del servizio.

Monopattini, +143%, carsharing -8,6%

Il monopattino sembra essere il mezzo più utilizzato: con 17,8 milioni di viaggi copre più del 50% del totale dei noleggi in Sharing Mobility, e crescendo del 143% raddoppia la performance del 2020.
Il bikesharing cresce del 42% rispetto al 2020, ma rispetto al 2019 presenta un calo: -37% free floating e -36% station based. Crescono, invece, gli scooter (+5%), mentre il carsharing appare ancora in difficoltà, sia free floating (-8,6% vs 2020 e -52% vs 2019) sia station based (+22% vs 2020 -19% vs 2019). L’aumento della durata e la minor contrazione dei chilometri percorsi potrebbero indicare una tipologia di utenti diversi rispetto al passato. E non è un caso che vengano scelte auto a quattro porte e con la possibilità di assolvere a più funzioni.

Una flotta da 89mila veicoli

Al 31 dicembre si contano 190 servizi attivi in Italia, 32 in più rispetto al 2020 e 90 in più rispetto al 2019. La flotta di mezzi condivisi raggiunge la quota di 89mila veicoli (+5% vs 2020): 31% bici, 51% monopattini, 10% scooter e 7% auto. Il 94,5% dei veicoli in condivisione è a zero emissioni, o veicoli completamente elettrici o senza motore. Nel carsharing la quota dell’elettrico raggiunge il 20% per i veicoli free-floating e il 44% per lo station based. L’evoluzione della sharing mobility sta premiando sempre più i veicoli leggeri, di ridotte dimensioni ed elettrici. Se sommiamo la flotta dei ciclomotori, biciclette e monopattini arriviamo al 93% dell’intera flotta di mezzi in Sharing Mobility, +30% rispetto a 5 anni fa.

A Roma e Milano la crescita è continua

Dal punto di vista economico, i servizi di Sharing Mobility presentano un costo medio a minuto di viaggio superiore a quello dei servizi di linea, ma inferiore al taxi. La combinazione di trasporto pubblico e servizi di sharing rispetto ai costi di possesso e utilizzo di un auto di proprietà consentirebbe infatti un risparmio annuo di 3.800 euro. Quanto al primo semestre 2022, Roma e Milano confermano i dati positivi del 2021 mostrando un’ulteriore crescita. A Milano l’insieme dei noleggi registrati cresce del 113% e a Roma dell’83%, con un cumulativo di 12,6 milioni di noleggi. 

Disaster Recovery, cos’è e quante Pmi italiano lo adottano? 

Cos’è il Disaster Recovery? E in cosa si differenzia dal Backup? “Backup e Disaster Recovery hanno due scopi profondamente diversi ma al contempo complementari. Il primo mira a salvaguardare il dato in seguito a cancellazioni, errori umani o in generale perdita dati. Il secondo protegge il sistema nel suo complesso, compreso il sito di erogazione, garantendo una ripartenza in tempi certi ed in qualunque circostanza, anche a seguito di disastri ambientali o catastrofici, andando quindi oltre il concetto di dato ed includendo invece tutto quello che gli orbita intorno” spiega Lorenzo Giuntini, CTO di Aruba. “Visti i pericoli, anche potenzialmente disastrosi, a cui si espone un’azienda priva di questi servizi, la strategia più corretta per la sua tutela è quella di implementare entrambe le soluzioni. Per farlo non esiste un’unica via: la scelta delle soluzioni e delle modalità più adatte passa attraverso un’attenta analisi dei rischi, la classificazione dei dati e la definizione del perimetro di protezione. Solo in questo modo è possibile costruire l’infrastruttura più adeguata a garantire e ad assicurare la continuità operativa aziendale in ogni condizione”.

Non più un piano B

Anche se appare evidente che oggi il il Disaster Recovery non sia più un piano B, ma una componente basilare da considerare in fase di progettazione, resta il fatto che il 68% delle piccole e medie aziende italiane non è intenzionata ad adottare una soluzione di Disaster Recovery neanche nel lungo periodo.  Ripristinare l’accesso e la funzionalità dell’infrastruttura IT a causa di attacchi informatici, interruzioni e guasti, rappresenta per le aziende la soluzione “as a service” più importante da implementare per garantire la propria business continuity. Eppure, il 73% delle PMI italiane non è dotata di un piano di Disaster Recovery. A dirlo è l’indagine condotta da Bva Doxa per Aruba sul tema della conservazione e sicurezza dei dati, e, in dettaglio, sulla disponibilità di piani di Disaster Recovery nelle PMI italiane.

L’80% delle PMI non pianifica l’adozione di un sistema di Disaster Recovery

Stando ai risultati della ricerca, il 68% delle PMI intervistate non è interessato ad introdurre piani per il ripristino dei dati neanche nel lungo periodo. Più in dettaglio, è l’80% delle piccole imprese a non pianificare l’adozione di un sistema di Disaster Recovery neanche nel prossimo futuro, a fronte del 53% delle medie imprese.
Eppure, come già reso noto in una recente Survey targata BVA Doxa-Aruba, 7 aziende su 100 hanno sperimentato una perdita di dati nel corso degli ultimi anni, subendo in media un downtime di quasi 2 giorni e con danni economici non quantificabili per il 43% degli intervistati. Nella stessa indagine, Aruba e BVA Doxa avevano rilevato anche come una PMI su 4 dichiarasse di non disporre neanche di una soluzione di backup; attestando, invece, al 57% la percentuale di aziende dotate di un backup in cloud.

Riduzione del personale e rischi di cybersecurity per le Pmi

Secondo alcuni studi, nonostante durante la pandemia la fidelizzazione dei team aziendali sia stata la priorità assoluta per quasi la metà delle organizzazioni, molte aziende potrebbero essere costrette a ‘tagliare’ il personale per ridurre i costi. Ma la riduzione del personale può causare ulteriori rischi di cybersecurity, soprattutto alle Pmi. Kaspersky ha intervistato più di 1.300 responsabili di Pmi in tutto il mondo per scoprire quali rischi di cybersecurity potrebbero comportare le misure anti-crisi. E di fatto, solo il 51% dei dirigenti è sicuro che i propri ex dipendenti non abbiano più accesso ai dati aziendali archiviati nei servizi cloud, e solo il 53% che gli ex dipendenti non possano più usare gli account aziendali.

L’uso improprio dei dati da parte degli ex dipendenti preoccupa i dirigenti

Dal momento che quasi la metà degli intervistati non è riuscita ad affermare con certezza che i propri ex dipendenti non abbiano accesso alle risorse digitali dell’azienda, la riduzione del personale potrebbe mettere ulteriormente a rischio la sicurezza dei dati e il futuro dell’azienda. Infatti, l’uso improprio dei dati da parte degli ex dipendenti nei nuovi posti di lavoro, o per procurarsi nuovi clienti, è stato il principale motivo di preoccupazione per i dirigenti. La maggior parte dei dirigenti aziendali teme infatti che gli ex dipendenti condividano i dati interni dell’azienda con i nuovi datori di lavoro (63%) o utilizzino i dati aziendali, come quelli dei vecchi clienti, per lanciare la propria attività (60%).

Quando l’accesso alle informazioni condivise non viene interrotto

“L’accesso non autorizzato può diventare un problema enorme per qualsiasi azienda, con ripercussioni sulla sua competitività quando i suoi dati vengono trasferiti a un concorrente, venduti o cancellati – ha spiegato Cesare D’Angelo, General Manager Italia di Kaspersky -. Il problema si complica quando i dipendenti utilizzano attivamente servizi aziendali o ‘shadow IT’ che non sono distribuiti o controllati dai dipartimenti IT aziendali. Se l’utilizzo di questi servizi non viene gestito dopo il licenziamento di un dipendente, ci sono poche possibilità che l’accesso alle informazioni condivise tramite queste applicazioni venga interrotto per un ex lavoratore”.

Ma le imprese non risparmiano sulla cybersecurity

Nel complesso, il 31% degli intervistati considera la riduzione dell’occupazione come una possibile misura per tagliare i costi in caso di crisi. Tra le altre misure di riduzione dei costi più diffuse gli intervistati indicano la diminuzione delle spese per la pubblicità e la promozione (36%), e quella per i veicoli (34%). La cybersecurity, invece, non sembra essere un’area in cui i responsabili preferirebbero risparmiare sul budget.

Quanto “produce” la cultura in Italia? Circa 90 miliardi di euro all’anno

La cultura in Italia vale tanto, tantissimo. Non solo a livello puramente educativo, ma anche come comparto economico a tutti gli effetti. Qualche dato, racchiuso nella dodicesima edizione del rapporto “Io sono cultura” realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere: il sistema produttivo culturale e creativo del 2021 vale 88,6 miliardi di euro, corrispondenti al 5,6% del valore aggiunto italiano e attiva complessivamente un giro d’affari di 252 miliardi di euro. Nonostante l’impatto della crisi dovuta alla pandemia, alcuni comparti culturali e creativi hanno mostrato segnali di tenuta generale. Non solo: alcuni settori hanno anche messo a segno incrementi importanti, come quello dei videogiochi e software che ha registrato un aumento della ricchezza prodotta del 7,6%. Sul fronte dell’occupazione, il settore impiega circa un milione e mezzo di persone, pari al 5,8% dell’occupazione nazionale.

Cosa rientra nel sistema produttivo culturale e creativo del nostro Paese?

Il Sistema Produttivo Culturale e Creativo comprende tutte quelle attività economiche che producono beni e servizi culturali (core), ma anche tutte quelle attività che non producono beni o servizi strettamente culturali, ma che utilizzano la cultura come input per accrescere il valore simbolico dei prodotti, quindi la loro competitività, che nello studio sono definiti creative-drive. All’interno del core coabitano attività molto diverse tra loro, accomunate dalla produzione e veicolazione di contenuti culturali e creativi. Dalle attività di conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico (attività dei musei, biblioteche, archivi, monumenti), alle arti visive e performative (attività dei teatri, concerti, etc.). A queste si aggiungono attività che operano secondo logiche “industriali” (musica, videogame, software, editoria, stampa), quelle dei broadcaster (radio, televisione), fino ad arrivare ad alcune attività appartenenti al mondo dei servizi (comunicazione, architettura, design).

Dove la cultura rende di più? 

Sia in termini di valore aggiunto sia di occupazione emerge una chiara differenziazione tra il Nord Italia e il Mezzogiorno. La grande area metropolitana di Milano è al primo posto nelle graduatorie provinciali per incidenza di ricchezza e occupazione prodotte, con il 9,5 e il 9,9%. Roma è seconda per valore aggiunto (8,5%) e quarta per occupazione (7,8%) mentre Torino si colloca terza (8,2%). Seguono, per valore aggiunto Arezzo (7,8%), Trieste (6,9%), Firenze (6,7%), Bologna (6,1%) e Padova (6 %).
In termini di occupazione, come suddetto, la leadership per incidenza dei posti di lavoro sul totale dell’economia è da attribuire a Milano. Ma il ruolo della cultura non si ferma alla sola quantificazione dei valori della filiera. Importanti sono anche i legami tra cultura e turismo. 

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