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Pagamenti digitali: 397 miliardi di euro di transato nel 2022 

In Italia il transato con strumenti di pagamento digitale continua a crescere a doppia cifra, e nel 2022 raggiunge 397 miliardi, pari al 40% dei consumi.  Si tratta di un valore che include sia i pagamenti basati su carte e wallet (390 miliardi di euro, in crescita del +18% rispetto al 2021), sia i pagamenti basati su conto corrente, corrispondenti a 7 miliardi di euro di transato. La crescita generale si riflette su tutte le componenti, sia su quelle più tradizionali, come le carte, dove i pagamenti Contactless raggiungono 186 miliardi di euro (+45% sul 2021), sia sui nuovi metodi di pagamento, gli Innovative Payments, che registrano un valore di 20,3 miliardi (+107%). Sono alcune evidenze emerse dall’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano.

Mobile e Wearable

All’interno degli Innovative Payments, sono Mobile e Wearable a rappresentare le due componenti fondamentali della crescita. Nel corso del 2022, infatti, gli italiani hanno usato sempre di più smartphone o dispositivi indossabili per effettuare pagamenti in negozio, per un totale di 16,3 miliardi di euro di transato (+122% rispetto al 2021). Lo smartphone è inoltre centrale anche nelle sperimentazioni di nuove versioni delle valute di banca centrale, le cosiddette Central Bank Digital Currency (CBDC). I progetti più avanzati in questo ambito sono concentrati nei Paesi Asiatici, ma anche l’Unione Europea ha avviato i lavori per implementare il cosiddetto Euro Digitale, e sta considerando lo sviluppo di un’app che ne permetta l’utilizzo in negozio, in modalità contactless o con QR code, e anche online.

Buy Now Pay Later

Tra i servizi correlati al pagamento che stanno destando sempre più interesse tra i consumatori c’è sicuramente il Buy Now Pay Later (BNPL). La sua crescita ha caratterizzato il 2021 e si conferma anche nel 2022, contribuendo in maniera significativa all’incremento generale dei pagamenti digitali. Il 13% degli italiani ha dichiarato di avere già utilizzato questo tipo di servizio per uno o più acquisti online e/o in negozio, mentre il 33% è intenzionato a servirsene in futuro (67% se si considerano anche gli indecisi). Nel 2022 le transazioni BNPL hanno raggiunto i 2,3 miliardi di euro, con una crescita del +253% rispetto al 2021. L’86% del valore, inoltre, riguarda acquisti effettuati su Internet, un risultato che porta il BNPL a rappresentare circa il 4% di penetrazione nel mondo online.

Digital Wallet e identità digitale

A livello europeo cresce poi l’attenzione sui Digital Wallet, con particolare attenzione al tema dell’identità digitale come abilitatore, non solo, di pagamenti. La recente revisione del regolamento eIDAS ha proprio lo scopo di introdurre nel 2024 l’European Union Digital Identity Wallet (EUDI wallet), un insieme di servizi certificati che permette agli utenti di richiedere, conservare e condividere le informazioni personali per accedere ai servizi online e firmare documenti elettronici.

La filiera del legno-arredo italiano cresce ancora

Ottimi numeri per la filiera del legno-arredo Made in Italy. Lo confermano i dati relativi al terzo trimestre appena diffusi dal Centro Studi di FederlegnoArredo su fonti Istat. Le esportazioni della filiera nei primi nove mesi del 2022 sono state pari a circa 15,6 miliardi di euro e sono cresciute complessivamente in tutte le regioni italiane del 16%, rispetto allo stesso periodo del 2021. Un dato ancora positivo, ma che comunque mette in luce un certo rallentamento.  Nel semestre gennaio-giugno 2022 la crescita di export della filiera era stata del 18,4%, decrescendo trimestre dopo trimestre nel confronto con i trimestri del ’21: dal +21% del primo trimestre, al +16% del secondo al +11% di luglio-settembre 2022.  Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, come riferisce Askanews, coprono quasi il 70% del valore esportato.

Lombardia prima per export

La Lombardia (3,7 miliardi di euro) con il +18,8% di export di filiera si conferma tendenzialmente stabile rispetto al risultato di gennaio-giugno (+19%) e di luglio-settembre +18,4%. Confrontando i primi tre trimestri ’22 con i trimestri ’21, si passa dal +22,8% di gennaio-marzo, al +15,8% di aprile-giugno per poi risalire a luglio-settembre al 18,4%. Esporta principalmente in Francia (+14,5%) ma ha registrato la crescita più consistente negli Stati Uniti – secondo mercato di sbocco – con un +30,7%, mentre negli Emirati Arabi Uniti – decimo mercato – la crescita è stata del +27,7%. La provincia di Monza e Brianza risulta al terzo posto in Italia per valore esportato con 983 milioni di euro e una crescita pari al 19,2%. 

Ottime performance per Veneto e Friuli

Il Veneto (3 miliardi di euro) presenta invece qualche segno di rallentamento, passando dal +15,5% di gennaio giugno 2022, al +14,5% di gennaio-settembre e con un luglio-settembre che scende a +12,3%, arretrando di circa 2 punti dal primo trimestre (+14,6%) e di ben 4 punti dal secondo trimestre (+16,4%). La regione ha in Germania lo sbocco principale per il suo export, dove la crescita è del +19,1%, ma sono le esportazioni verso il Belgio – settimo mercato – con un +20,5% a decretarlo il Paese con la crescita maggiore tra i Paesi più significativi. Treviso rimane la prima provincia a livello nazionale per valore esportato della filiera legno-arredo con 1,8 miliardi di euro e un +12,7% rispetto allo stesso periodo del 2021. Il Friuli Venezia Giulia (1,9 miliardi di euro) con un +21,7% è la regione che ha registrato la variazione percentuale più alta nei primi 9 mesi del 2022, ma allo stesso tempo è quella che ha registrato la frenata più brusca rispetto al +25% del semestre precedente, con i trimestri che evidenziano un netto calo rispetto al ’21 pari a oltre 11 punti percentuali: primo trimestre +26,4%; secondo trimestre +23,8%; terzo trimestre +15%.

Arrivano i saldi: il budget medio è circa 160 euro

A quanto emerge dal sondaggio condotto da Fismo, federazione dei negozi specializzati in moda di Confesercenti, insieme a IPSOS, il 72% dei consumatori italiani si dichiara interessato ad acquistare almeno un capo in saldo. Ma c’è un ulteriore 23% che deciderà in base alle offerte. I saldi invernali 2023, il primo grande appuntamento commerciale dell’anno, sono iniziati in tutta Italia. Dopo la partenza anticipata al 2 gennaio in Basilicata e Sicilia, a cui è seguita la Valle d’Aosta il 3 gennaio, giovedì 5 gennaio i saldi si sono aperti anche in tutte le altre regioni. E gli italiani dichiarano di avere ‘stanziato’ un budget medio per gli acquisti di circa 160 euro a persona.

Nel Centro Italia si spenderà di più: 216 euro

Ad avere già stabilito un budget è il 62% di chi è interessato ai saldi. La media di 160 euro nasconde però una spesa media fortemente diversificata a livello regionale. Nel Centro Italia infatti si spenderanno in media 216 euro, un budget sensibilmente più alto di quello allocato mediamente nelle regioni del Nord e del Sud (rispettivamente 148 e 147 euro). Anche l’analisi per genere ed età restituisce divari. A spendere di più saranno gli uomini, con 195 euro circa di spesa media pro capite, contro 125 euro delle donne, 182 euro degli over 35 e 115 dei più giovani.  

Un evento legato allo shopping nei negozi fisici

Ad attendere l’apertura delle vendite di fine stagione sono soprattutto le donne: 3 su 4 sono interessate all’acquisto, contro il 69% degli uomini. A livello territoriale, invece, la maggiore percentuale di intenzionati a comprare si registra nelle regioni del Sud e nelle Isole, dove il 76% vuole approfittare dei saldi. Una quota che scende al 72% al Nord e al 68% nel Centro.  Ma dove si compra? Nonostante la concorrenza del web, i saldi rimangono un evento legato all’esperienza di shopping nei negozi. L’89% di chi parteciperà ai saldi acquisterà presso un punto vendita fisico, mentre il 59% si rivolgerà al canale online. I negozi sono preferiti soprattutto da over35 (90%) e al Centro Italia (92%). 

Maglioni, scarpe e biancheria intima 

Nel 2023 in cima ai desideri degli italiani ci sono i maglioni. A progettare di acquistarne almeno uno è il 63% degli intervistati (68% al Sud), quota leggermente superiore a quella dei consumatori interessati alle scarpe (62%), acquisto tradizionale dei saldi invernali. Seguono, abbigliamento intimo (41%), gonne e pantaloni (39%), magliette, canottiere e top (35%), camicie e camicette (33%), e borse (31%). Il 30% proverà invece a portarsi a casa un capospalla a prezzo scontato.
Il 28% cercherà invece abiti e completi, mentre il 26% approfitterà dei saldi per un nuovo foulard, una sciarpa o un cappello. E se il 22% cercherà un’occasione per la biancheria per la casa, il 20% punta ad acquistare un prodotto di piccola pelletteria, come portafogli o portacarte, e il 18%, cinture.

Carte elettroniche: sono oltre 2,8 milioni gli italiani truffati

Secondo l’indagine commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat, in un anno più di 2,8 milioni di nostri connazionali (6,5%) sono stati truffati nell’ambito dei pagamenti digitali con le carte elettroniche, per un danno economico medio pari a 196 euro. Più di una frode su 3 (37,7%), nel caso delle carte, è passata tramite un’email, mentre il 28,8% attraverso un falso sito web. Il 26,7%, invece, è stata portata a termine tramite un sms. Con il Natale alle porte e i siti di e-commerce presi d’assalto, basta poco per cadere in trappola. Sono infatti moltissimi gli italiani che in soli dodici mesi hanno subito una truffa nell’ambito delle carte elettroniche.

Il 30,8% non ha sporto denuncia

Come si comportano i truffati dopo aver subito una frode legata a una carta di debito, credito o prepagata? Il 30,8% ha deciso di non denunciare. Molti, più di 2 su tre, non lo hanno fatto per ragioni economiche, perché il danno era basso o erano sicuri di non recuperare quanto perso, mentre l’11% non ha sporto denuncia per motivi di natura psicologica: ‘si sentivano ingenui per esserci cascati’ o ‘avevano paura di essere scoperti dai familiari’.
Le vittime predilette sono soprattutto gli uomini (7,2% vs 5,9% donne), gli appartenenti alla fascia anagrafica 18-24 anni (13,3%), e a dispetto di quanto si possa pensare, chi ha un titolo di studio universitario (7,1% rispetto al 6,2% rilevato tra i non laureati).

Le regole per mettersi al riparo dai malintenzionati

Per aiutare a riconoscere i rischi quando si utilizzano carte di credito, debito o prepagate, Facile.it ha pubblicato un podcast con alcune regole da seguire per mettersi al riparo dai malintenzionati. Anzitutto, per tenere sempre sotto controllo i movimenti della carta, è possibile attivare le notifiche sms o quelle dell’app della banca per ricevere un messaggio ogni volta che viene utilizzata una carta collegata al conto. L’estratto conto poi non è da sottovalutare. Il riepilogo delle spese è molto importante sia per monitorare le uscite sia per rilevare eventuali anomalie ed errori di pagamento. E attenzione ai pagamenti non tracciati. Quando si fanno acquisti online diffidare da richieste di pagamenti non tracciati, come ad esempio la ricarica di una carta prepagata: è proprio questa la modalità preferita dai malfattori.

Evitare di scaricare programmi illegali

Allo stesso modo, è bene fare attenzione anche ai siti che non permettono metodi di pagamento alternativi alla carta di credito.
Ma che sia tramite smartphone o computer, quando si opera online è importante dotare il dispositivo di un antivirus per proteggerlo da eventuali intrusioni. Evitare, inoltre, di scaricare programmi craccati o illegali perché possono rappresentare un pericolo per la sicurezza del device e del conto corrente. Inoltre, per evitare che una volta sottratta la carta venga usata liberamente, il consiglio è di non tenere mai il codice di sicurezza nel portafoglio insieme alla carta. In ogni caso, meglio camuffarlo per non renderlo riconoscibile.

Black Friday 2022: i prodotti della Tecnologia di consumo a -1,3% 

Durante la settimana del Black Friday 2022, dal 21 al 27 novembre 2022, il mercato italiano della Tecnologia di consumo ha registrato vendite per un controvalore pari a 492 milioni di euro, ma rispetto al 2021 segnano un -1,3%. Un trend lievemente negativo, quindi, nonostante in ripresa rispetto alle settimane precedenti. Dopo la forte crescita nel 2021 negli ultimi mesi il settore della Tecnologia di consumo ha iniziato a mostrare segnali negativi. Le ragioni sono ascrivibili all’effetto saturazione di alcuni settori, risultati in forte crescita nei due anni precedenti, come l’IT e l’Office, ma anche alle difficoltà del contesto economico legate all’inflazione, l’incremento dei costi dell’energia e le crescenti incertezze dei consumatori.

Rispetto al 2019 il valore del mercato aumenta del +2%

Le rilevazioni effettuate da GfK sul Panel Weekly per le categorie più importanti del mercato della Tecnologia di consumo, tra cui TV, PC, Smartphone, Tablet, Frigoriferi, Lavatrici, Aspirapolvere, e Stampanti mostrano un calo del -1,3% rispetto al Black Friday 2021. 
Rispetto al fatturato della settimana media riferita all’ultimo anno si registra però un incremento del +125%. E confrontando il dato 2022 con il Black Friday 2019 il valore del mercato è aumentato del +2%, evidenziando una buona performance rispetto al periodo pre-pandemico.

Cresce il canale online: +9%

Per la settimana del Black Friday le vendite tramite internet contribuiscono al 37% del fatturato totale. Cresce infatti soprattutto il canale online (+9%), mentre rallentano i punti vendita tradizionali (-7%). 
I comparti che hanno ottenuto la migliore performance sono stati l’Home Comfort (+14%), Piccolo Elettrodomestico (+12%), Informatica e Office (+4%) e Telefonia (+4%). Quanto alle tre categorie più importanti in termini di fatturato, crescono gli Smartphone (+4%), mentre PC Portatili (-4%) e TV (-17%) risultano in calo rispetto allo scorso anno. Escludendo queste due ultime categorie dal perimetro dei prodotti il mercato segnerebbe un dato positivo.

L’impatto delle attività promozionali è del 41% sui volumi venduti

Rispetto al Black Friday 2021 i prodotti che hanno registrato le crescite più rilevanti sono stati i Mediatablets (+44%). Molto positivi anche i Condizionatori (+34%) e i Forni a Microonde (+26%), le cui vendite sono legate al risparmio sul consumo di gas domestico. Inoltre, rispetto agli ultimi anni è tornato a crescere l’impatto delle attività promozionali nella settimana del Black Friday, arrivando al 41% dei volumi venduti, con un taglio prezzo di almeno il 15%.

Gelato, un business ghiotto: vale 2 miliardi di euro l’anno

E’ uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy, apprezzato ed esportato in tutto il mondo. E’ il gelato artigianale, tra i prodotti più amati della tradizione gastronomica tricolore. Ma questo prodotto ha anche un valore economico di tutto rispetto: circa 2 miliardi di euro l’anno. Insomma, un comparto che muove oltre 70mila posti di lavoro, come rivela l’ultima indagine della Cgia di Mestre, realizzata appositamente per la Mig 2022, Mostra internazionale del gelato a Longarone Fiere.

Artigianale è meglio

Lo studio della Cgia di Mestre prende le mosse da un’analisi complessiva del comparto del gelato, all’interno del quale l’artigianato occupa oltre i tre quarti delle sedi d’impresa e la metà degli addetti, e rappresenta la componente più tradizionale e apprezzata (anche se non è facilmente individuabile da dati e numeri, in quanto i Codici Ateco sono differenti e non attribuiti in maniera esclusiva al gelato artigianale). L’intero comparto del gelato, individuato dai codici Ateco insieme alle pasticcerie, conta al 30 settembre 2022 18.885 sedi di impresa attive per un totale di 25.528 localizzazioni e 76.778 addetti. Si tratta di un comparto in crescita costante dal 2014 in avanti, con un aumento delle localizzazioni che ha conosciuto una sosta solo nel 2020, anno del Covid. Tuttavia, i numeri sono stati prontamente recuperati nel biennio 2021-2022. 

Oltre 15mila imprese e 21mila punti vendita

Il mondo artigiano (inserito per la gran parte nei Codici Ateco 56.10.3 “Gelaterie e pasticcerie” e 56.10.41 “Gelaterie e pasticcerie ambulanti”) viene stimato nel report Cgia in 15.719 imprese, per un totale di oltre 21mila punti vendita, circa 62 mila addetti interessati e 30mila unità di lavoro sostenute dai ricavi del gelato artigianale.
Un mondo che si muove e lavora dietro a coni e coppette. E in grado di muovere circa 2 miliardi di euro l’anno. Secondo le stime della Cgia, il fatturato del comparto del gelato si aggira sui 2,1 miliardi, di cui poco meno della metà ascrivibili al solo settore artigianale. Il consumo di gelato da parte dei residenti è di circa 1,7 miliardi di euro – secondo l’Istat ogni famiglia in Italia nel 2021 ha speso quasi 70 euro in gelato – ma va aggiunto anche l’apporto dei turisti.
“Il comparto della gelateria è un settore che tutto sommato dimostra una certa tenuta” commenta il segretario della Cgia di Mestre, Renato Mason. “Pur tra mille difficoltà, ordinarie – il peso della burocrazie e il livello della pressione fiscale – e straordinarie – il lockdown, la crisi energetica, l’aumento dei tassi di interesse – continua ad assicurare occupazione e a produrre ricchezza”.

La produzione? Soprattutto in Lombardia 

A livello territoriale, i laboratori di produzione artigianale del gelato sono concentrati soprattutto in Lombardia (2.120 sedi di impresa), Sicilia (1.610), Campania (1.564), Lazio (1.453), Veneto (1.305) ed Emilia Romagna (1.235). La densità delle sedi attive mette in cima alla classifica le province siciliane, le località marittime di Calabria, Toscana e Liguria, ma anche le province venete, in particolare Venezia (37 sedi ogni 100mila abitanti) e Belluno (38 sedi ogni 100mila abitanti). Non per niente la provincia dolomitica è riconosciuta come patria del gelato artigianale, luogo d’origine di grandi maestri gelatieri che da 63 anni propone la Mig – Mostra internazionale del gelato.

Smart home e dispositivi intelligenti: tendenze e propensione all’acquisto degli italiani 

Secondo la ricerca Smart home e dispositivi personali smart: il punto di vista dei consumatori italiani, realizzata da UL Solutions in collaborazione con BVA Doxa, in Italia cresce l’adozione di prodotti consumer con funzionalità smart connessi: il 77% degli italiani è propenso all’acquisto di un dispositivo per la smart home entro i prossimi due anni, e il 67% è interessato a comprare almeno un oggetto smart personale. Tra i criteri di scelta rientrano soprattutto la comunicazione trasparente sui rischi per la privacy o la salute (48%), un’app di gestione del dispositivo con ottime recensioni (45%), e la certificazione da parte di un ente indipendente (43%). Quest’ultima, in particolare, convince più della fiducia nel brand (38%), passaparola (36%) e consigli del venditore (20%). Tra i fattori che frenano l’adozione emergono i timori legati alla sicurezza (30%) e ai rischi per la salute.

Gli smartworker sono più connessi

I lavoratori in smartworking mostrano una propensione maggiore all’acquisto di prodotti smart. Sono più frequentemente uomini (+8%), tendenzialmente più giovani, con una concentrazione (+7%) nella fascia di età 35-54 anni. La necessità principale per gli smartworker è monitorare e gestire l’ambiente domestico da remoto riducendo i consumi: l’acquisto di termostati e climatizzatori smart registra infatti un +11% rispetto al totale degli intervistati. Ma la tendenza ad acquistare più prodotti smart da parte di chi lavora in remoto risulta ancora più evidente dalla crescita degli smart device personali (+12%), in particolare, prodotti per l’health monitor (+9) e oggetti smart indossabili (+7%).

Dal fitness alla gestione della casa: i dispositivi più acquistati

Tra le categorie di dispositivi smart personali, gli oggetti indossabili connessi per fitness e tempo libero sono i più acquistati negli ultimi 2-3 anni (31%), mentre gli acquisti di dispositivi per la smart home hanno riguardato principalmente la gestione della casa e l’entertainment (60%). In particolare, elettrodomestici e dispositivi smart per la sicurezza (39%) e dispositivi per l’efficientamento energetico (34%). Le principali ragioni d’acquisto? Comodità, capacità di gestire apparecchi ed elettrodomestici a distanza, e la possibilità di rendere più sicura la propria casa.
La propensione agli acquisti futuri invece vede in cima alla classifica i dispositivi per il controllo dei consumi e risparmio energetico, e a livello di categoria, i dispositivi di sicurezza (51%).

Cosa richiedono i clienti e cosa preoccupa

Per tutte le tipologie dei prodotti (gestione della casa ed entertainment, elettrodomestici, safety&security, efficienza energetica, dispositivi personali), emerge una richiesta di miglioramento delle funzionalità e una maggiore chiarezza nel comunicare i vantaggi offerti dal loro utilizzo. Colpisce la necessità di maggiore protezione della privacy espressa da coloro che hanno acquistato dispositivi per il fitness (35%), indice dei timori per la sicurezza e la riservatezza dei propri dati. Il giudizio in merito alla facilità di installazione e configurazione varia invece a seconda della tipologia di prodotto. Circa 8 utenti su 10 si sono occupati personalmente dell’installazione dei dispositivi acquistati. Per le altre categorie, la procedura di installazione appare più complicata.

Come è stato il mercato della Sharing Mobility nel 2021?

Secondo i dati del 6° rapporto dell’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility, il fatturato complessivo del settore nel 2021 è in crescita del 52% rispetto al 2020, raggiungendo 130 milioni di euro.
Malgrado le limitazioni dovute alle misure di contenimento, la Sharing Mobility mostra segnali di ripresa, e nelle città italiane continua a crescere come nel periodo pre pandemia. Nel 2021 si raggiungono 35 milioni di noleggi (+61% vs 2020 e +25% vs 2019) e 133,4 milioni di chilometri percorsi (+44% vs 2020 e +0,3% vs 2019). Inoltre, aumentano le corse, ma per tratti più brevi, quasi a testimoniare la capillarità del servizio.

Monopattini, +143%, carsharing -8,6%

Il monopattino sembra essere il mezzo più utilizzato: con 17,8 milioni di viaggi copre più del 50% del totale dei noleggi in Sharing Mobility, e crescendo del 143% raddoppia la performance del 2020.
Il bikesharing cresce del 42% rispetto al 2020, ma rispetto al 2019 presenta un calo: -37% free floating e -36% station based. Crescono, invece, gli scooter (+5%), mentre il carsharing appare ancora in difficoltà, sia free floating (-8,6% vs 2020 e -52% vs 2019) sia station based (+22% vs 2020 -19% vs 2019). L’aumento della durata e la minor contrazione dei chilometri percorsi potrebbero indicare una tipologia di utenti diversi rispetto al passato. E non è un caso che vengano scelte auto a quattro porte e con la possibilità di assolvere a più funzioni.

Una flotta da 89mila veicoli

Al 31 dicembre si contano 190 servizi attivi in Italia, 32 in più rispetto al 2020 e 90 in più rispetto al 2019. La flotta di mezzi condivisi raggiunge la quota di 89mila veicoli (+5% vs 2020): 31% bici, 51% monopattini, 10% scooter e 7% auto. Il 94,5% dei veicoli in condivisione è a zero emissioni, o veicoli completamente elettrici o senza motore. Nel carsharing la quota dell’elettrico raggiunge il 20% per i veicoli free-floating e il 44% per lo station based. L’evoluzione della sharing mobility sta premiando sempre più i veicoli leggeri, di ridotte dimensioni ed elettrici. Se sommiamo la flotta dei ciclomotori, biciclette e monopattini arriviamo al 93% dell’intera flotta di mezzi in Sharing Mobility, +30% rispetto a 5 anni fa.

A Roma e Milano la crescita è continua

Dal punto di vista economico, i servizi di Sharing Mobility presentano un costo medio a minuto di viaggio superiore a quello dei servizi di linea, ma inferiore al taxi. La combinazione di trasporto pubblico e servizi di sharing rispetto ai costi di possesso e utilizzo di un auto di proprietà consentirebbe infatti un risparmio annuo di 3.800 euro. Quanto al primo semestre 2022, Roma e Milano confermano i dati positivi del 2021 mostrando un’ulteriore crescita. A Milano l’insieme dei noleggi registrati cresce del 113% e a Roma dell’83%, con un cumulativo di 12,6 milioni di noleggi. 

Quanto “produce” la cultura in Italia? Circa 90 miliardi di euro all’anno

La cultura in Italia vale tanto, tantissimo. Non solo a livello puramente educativo, ma anche come comparto economico a tutti gli effetti. Qualche dato, racchiuso nella dodicesima edizione del rapporto “Io sono cultura” realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere: il sistema produttivo culturale e creativo del 2021 vale 88,6 miliardi di euro, corrispondenti al 5,6% del valore aggiunto italiano e attiva complessivamente un giro d’affari di 252 miliardi di euro. Nonostante l’impatto della crisi dovuta alla pandemia, alcuni comparti culturali e creativi hanno mostrato segnali di tenuta generale. Non solo: alcuni settori hanno anche messo a segno incrementi importanti, come quello dei videogiochi e software che ha registrato un aumento della ricchezza prodotta del 7,6%. Sul fronte dell’occupazione, il settore impiega circa un milione e mezzo di persone, pari al 5,8% dell’occupazione nazionale.

Cosa rientra nel sistema produttivo culturale e creativo del nostro Paese?

Il Sistema Produttivo Culturale e Creativo comprende tutte quelle attività economiche che producono beni e servizi culturali (core), ma anche tutte quelle attività che non producono beni o servizi strettamente culturali, ma che utilizzano la cultura come input per accrescere il valore simbolico dei prodotti, quindi la loro competitività, che nello studio sono definiti creative-drive. All’interno del core coabitano attività molto diverse tra loro, accomunate dalla produzione e veicolazione di contenuti culturali e creativi. Dalle attività di conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico (attività dei musei, biblioteche, archivi, monumenti), alle arti visive e performative (attività dei teatri, concerti, etc.). A queste si aggiungono attività che operano secondo logiche “industriali” (musica, videogame, software, editoria, stampa), quelle dei broadcaster (radio, televisione), fino ad arrivare ad alcune attività appartenenti al mondo dei servizi (comunicazione, architettura, design).

Dove la cultura rende di più? 

Sia in termini di valore aggiunto sia di occupazione emerge una chiara differenziazione tra il Nord Italia e il Mezzogiorno. La grande area metropolitana di Milano è al primo posto nelle graduatorie provinciali per incidenza di ricchezza e occupazione prodotte, con il 9,5 e il 9,9%. Roma è seconda per valore aggiunto (8,5%) e quarta per occupazione (7,8%) mentre Torino si colloca terza (8,2%). Seguono, per valore aggiunto Arezzo (7,8%), Trieste (6,9%), Firenze (6,7%), Bologna (6,1%) e Padova (6 %).
In termini di occupazione, come suddetto, la leadership per incidenza dei posti di lavoro sul totale dell’economia è da attribuire a Milano. Ma il ruolo della cultura non si ferma alla sola quantificazione dei valori della filiera. Importanti sono anche i legami tra cultura e turismo. 

Il ruolo strategico dell’enterprise architect nel 2022

MEGA International, società globale di software, presenta i risultati dello studio internazionale condotto dall’istituto Enterprise Strategy Group sulle tendenze dell’enterprise architecture nel 2022.
L’indagine, che ha coinvolto 300 professionisti dell’enterprise architecture in Europa (50%) e Stati Uniti (50%), ha l’obiettivo di analizzare le sfide affrontate dalle organizzazioni in termini di enterprise architecture, e l’impatto dell’enterprise architecture sul business. La maggior parte delle organizzazioni considera ancora l’enterprise architecture principalmente come un reparto di supporto alla tecnologia, invece di considerarla come la spina dorsale essenziale per lo sviluppo del business. Gli enterprise architect rimangono però ottimisti sull’evoluzione del loro lavoro e sulla sua importanza nelle organizzazioni.

Il valore aggiunto dell’architettura d’impresa

Di fatto, il 44% delle aziende ha una visione dell’enterprise architecture incentrata sull’IT, rispetto al 26% che concentra la visione sul business. Solo il 18% degli architetti intervistati dichiara di essere sistematicamente consultato sui progetti di sviluppo aziendale. Tuttavia, la ricerca sottolinea che le collaborazioni interne con gli enterprise architect riguardano soprattutto i reparti di sicurezza, R&D e sviluppo delle applicazioni, aree in cui il valore aggiunto dell’architettura d’impresa non ha più bisogno di essere dimostrato. In particolare, il reparto sicurezza riconosce al 77% l’elevato valore aggiunto associato al Risk and Compliance Management (GRC). Allo stesso modo, le organizzazioni che considerano l’enterprise architecture principalmente come supporto tecnologico (46%), riconoscono il suo innegabile valore nella governance dei dati e nell’efficienza nella gestione dei costi IT.

Investimenti cresciuti in media del 15,7%

Il 70% delle organizzazioni riferisce che gli investimenti nell’enterprise architecture sono aumentati in media del 15,7%, e il 97% sta pianificando investimenti significativi nei prossimi due anni.
Le motivazioni principali sono la migliore gestione delle informazioni, il miglioramento dei processi aziendali e le architetture cloud. In generale, il valore della professione di business architect è considerato positivo all’interno delle organizzazioni, con il 56% degli architetti che si sente riconosciuto internamente. Per 6 architetti su 10 è una professione che offre aumenti delle competenze e prospettive di sviluppo.

C’è ancora qualche ostacolo da superare 

L’80% degli architetti aziendali intervistati afferma che la propria azienda soffre ancora di troppi processi manuali, e il 79% ritiene di avere molte difficoltà a collaborare con l’intera organizzazione, mentre lo scopo principale dell’enterprise architecture sarebbe quello di supportare le attività dell’azienda e la loro trasformazione. Di conseguenza, per la stragrande maggioranza degli intervistati, i progetti richiedono tempi di realizzazione più lunghi (77%) e costi più elevati (78%) del previsto. Eppure, nonostante i progetti siano considerati difficili, lunghi e costosi, gli architetti sono sostanzialmente soddisfatti. E 7 intervistati su 10 ritengono che i loro team EA aggiungano valore nelle aree chiave che hanno identificato.

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