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Bonus acqua potabile: come richiedere il credito d’imposta 

Il Bonus acqua potabile è stato introdotto dalla Legge di Bilancio 2021 con lo scopo di razionalizzare l’uso dell’acqua e ridurre il consumo di contenitori di plastica. Successivamente, sono state stanziate nuove risorse per prorogare l’agevolazione anche al 2023, ma più ristrette rispetto agli anni precedenti e pari a 1,5 milioni di euro. Fino al 31 dicembre può beneficiare del bonus chi acquista e installa sistemi di filtraggio, mineralizzazione, raffreddamento e addizione di anidride carbonica alimentare. C’è quindi ancora tempo fino a fine anno per richiederlo, mentre per il 2024 bisognerà attendere eventuali interventi di proroga. Possono richiedere l’agevolazione, che consiste in un credito d’imposta, le persone fisiche, gli esercenti di attività d’impresa, arti e professioni e gli enti non commerciali. La domanda deve essere presentata all’inizio dell’anno successivo a quello di sostenimento delle spese.

Un massimo di 500 o 2.500 euro

Il credito d’imposta a cui si ha diritto può arrivare a un massimo del 50% dei costi sostenuti entro i limiti di 1.000 euro per ciascun immobile, o 5.000 euro per ogni immobile adibito all’attività commerciale o istituzionale. Il valore del bonus acqua potabile, quindi, può arrivare a un massimo di 500 o 2.500 euro, da utilizzare in compensazione o tramite dichiarazione dei redditi. Stando alle indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate per gli anni scorsi, la domanda può essere inviata dal 1° al 28 febbraio 2023 comunicando l’ammontare dei costi sostenuti tramite il servizio online disponibile sul portale istituzionale.

Si richiede online sul sito dell’Agenzia delle entrate

Per poter procedere con la richiesta è necessario, prima di tutto, effettuare l’accesso all’area riservata dell’Agenzia delle entrate tramite le credenziali SPID, CIE (Carta d’Identità Elettronica), o CNS (Carta Nazionale dei Servizi). Una volta all’interno, nella sezione dedicata alle agevolazioni bisogna selezionare la voce Credito di imposta per il miglioramento dell’acqua potabile. Per poter accedere all’agevolazione è necessario essere in possesso di una fattura elettronica o di un documento commerciale con l’indicazione del codice fiscale del soggetto che richiede il credito. Le persone fisiche, e in generale gli aspiranti beneficiari diversi da quelli che esercitano attività d’impresa in regime di contabilità ordinaria, non possono effettuare il pagamento in contanti.

Le persone fisiche possono utilizzarlo anche nella dichiarazione dei redditi

Nonostante la norma indichi il credito d’imposta spettante come pari al 50% dei costi sostenuti, è più corretto parlare di una misura massima pari alla metà delle spese di acquisto dei sistemi di miglioramento dell’acqua potabile. Il valore del beneficio, infatti, viene stabilito in base alle risorse disponibili e alle richieste ricevute dall’Agenzia delle Entrate. Considerando questa modalità di calcolo, negli anni scorsi il bonus acqua potabile non è mai stato riconosciuto in misura piena.
In ogni caso, una volta ottenuto sarà possibile fruire del credito d’imposta riconosciuto in compensazione tramite il modello F24. Le persone fisiche, non esercenti attività d’impresa o lavoro autonomo, possono utilizzarlo anche nella dichiarazione dei redditi riferita all’anno della spesa e in quelle degli anni successivi fino al completo impiego dell’importo.

Cara Italia, viaggiare nel 2023 costa troppo

Oltre 5 milioni di italiani non sono partiti per le vacanze estive a causa degli aumenti generalizzati dei prezzi. Aumenti che nella migliore delle ipotesi hanno eroso la capacità di risparmio delle famiglie, e nella peggiore hanno intaccato i risparmi accantonati negli anni passati, pregiudicando la possibilità di concedersi un viaggio. Secondo l’indagine di Facile.it e Consumerismo No Profit gli italiani che nonostante tutto sono riusciti a mettere da parte un piccolo budget da destinare alle ferie hanno però dovuto fare i conti con un secondo problema, il caro-vacanze. Così, circa 3,2 milioni di italiani alla fine hanno deciso di rinunciare a partire. Soprattutto i giovani tra 18-24 anni, di cui il 53,8% è restato a casa per questa motivazione.

Treni, aerei e benzina

Secondo l’indagine i prezzi dei treni sono in linea con i periodi precedenti, e tranne acquisti dell’ultimo minuto non hanno subito grandi oscillazioni. Diversamente, i voli nazionali ed esteri sembrano aver subito incrementi anche oltre il 50%. Anche chi sceglierà di raggiungere la destinazione estiva con il proprio veicolo dovrà fare i conti con l’aumento del prezzo del carburante. Da giugno a fine luglio i prezzi di diesel e benzina sono aumentati rispettivamente dal 6% al 12% e dal 5% all’11%. Ma i prezzi potrebbero essere decisamente più elevati se ci si rifornisce in autostrada, dove le tariffe tendono a essere più alte.

Hotel e stabilimenti balneari

I prezzi di hotel, B&B e case vacanza hanno raggiunto il picco storico. Per una sola notte in B&B o hotel in due a Roma la spesa media si aggira intorno a 150 euro. A Milano anche 180, e paradossalmente anche località fino a qualche tempo fa più economiche, come Napoli e Palermo, ormai sembrano essere diventate mete solo per chi può spendere molto. Quanto alle spiagge, una giornata in spiaggia libera può costare anche il 75% in meno di una giornata presso uno stabilimento attrezzato, dove attualmente i prezzi giornalieri oscillano tra 30 e 50 euro per due lettini e un ombrellone.

Ristoranti e gelati

Non sedersi a tavola prima di aver visto i prezzi. Preferire i giorni della settimana meno affollati. Attenzione al costo di vini e alcolici, che spesso determinano anche il 50% dell’importo del conto. Sono le buone abitudini da osservare per non farsi andare di traverso il boccone.
Ma è il prodotto tipico dell’estate quest’anno a essere particolarmente salato. Il gelato sta infatti registrando sensibili rincari: a maggio l’incremento medio è del +22% rispetto al 2022.
A pesare sui listini è l’incremento dei costi delle materie prime, come uova, zucchero, frutta, ma anche il caro-energia che determina aggravi dei costi di produzione. A crescere sono i prezzi dei gelati venduti ai supermercati, nei bar, ma anche coni e coppette delle gelaterie. A Roma nelle zone più turistiche un cono piccolo da due gusti supera i 4 euro.

Il cappotto verde sugli edifici? Riduce di 1 grado il clima nelle città

Durante l’estate, il cosiddetto “cappotto verde” sugli edifici, costituito da tetti e muri esterni ricoperti di vegetazione, ha dimostrato di ridurre di oltre 1 °C la temperatura dell’aria nelle città. Questo è ciò che emerge da uno studio condotto dall’ENEA e pubblicato su Energy and Buildings, che ha valutato l’efficacia dell’utilizzo diffuso di soluzioni green per contrastare le isole di calore nelle zone urbane densamente popolate di Roma e Torino, concentrandosi su una tipica giornata estiva.

I test da Roma a Torino

I ricercatori ENEA del Dipartimento di Efficienza Energetica hanno simulato tre scenari di mitigazione, ciascuno caratterizzato da diverse combinazioni di soluzioni green. A Roma, il scenario più efficace nel ridurre le temperature prevede l’utilizzo di 12mila m2 di tetti verdi in combinazione con 60mila m2 di facciate verdi, il che ha portato a una riduzione media della temperatura di 0,33 °C, con picchi fino a 1,17 °C alle ore 15. La ricercatrice ENEA Tiziana Susca, che ha lavorato allo studio insieme ai colleghi Fabio Zanghirella e Vincenzo Del Fatto, spiega che il merito principale di questo abbattimento della temperatura va attribuito alle pareti verdi, il cui effetto è maggiore quanto più alto è l’edificio. Al contrario, i tetti verdi estensivi si sono dimostrati inefficaci nel mitigare direttamente il riscaldamento urbano quando installati su edifici alti, ma sono comunque utili per ridurre la temperatura interna delle abitazioni e, di conseguenza, l’uso dell’aria condizionata.A Torino, sono stati registrati circa 0,5 °C di riduzione della temperatura esterna dell’aria in due scenari che prevedevano rispettivamente 6mila m2 di “living wall” e altrettanti di facciate verdi sugli edifici. Entrambi i casi riguardavano abitazioni situate lungo canyon urbani, paralleli alla direzione principale del vento, una condizione favorevole per disperdere il calore accumulato.

Meno efficaci durante le giornate caldissime, però…

Gli studiosi hanno anche evidenziato che durante le ondate di calore, le soluzioni green hanno un’efficacia leggermente inferiore rispetto a una tipica giornata estiva, poiché il fenomeno climatico estremo riduce il potenziale di raffreddamento delle piante a causa della chiusura degli stomi, le piccole aperture sulle foglie attraverso cui avviene lo scambio gassoso con l’esterno.

Uno strumento per contrastare gli effetti dell’urbanizzazione

La ricerca dell’ENEA è particolarmente rilevante considerando che l’urbanizzazione sta crescendo rapidamente. Nel 2016, le aree urbane coprivano quasi il 1,29% della superficie terrestre, e la popolazione urbana rappresentava il 54,4% della popolazione globale. Secondo le stime delle Nazioni Unite, questa percentuale raggiungerà il 68,36% entro il 2050, portando a un ulteriore aumento delle temperature urbane superficiali a causa dell’urbanizzazione in aumento. Le previsioni relative agli scenari di espansione urbana indicano che, in un contesto basato sull’utilizzo di combustibili fossili, l’Europa potrebbe subire un ulteriore aumento medio delle temperature superficiali pari a 0,12 °C in estate entro il 2100.

Un terzo delle imprese innovative è in Lombardia

Quasi 110.000 imprese, oltre il 30%, delle circa 359.000 imprese più innovative presenti su tutto il territorio nazionale, si concentra in Lombardia. Lo attesta lo studio di marketing intelligence realizzato da CRIF. Lo studio ha preso in esame le imprese che mostrano un elevato grado di innovazione, misurato con il livello 1 e 2 dell’Innovation Score di CRIF. I criteri considerati vanno dallo sviluppo di brevetti innovativi all’approccio smart al business, dagli investimenti in ricerca e sviluppo all’attività di export. E se nella regione lombarda si concentra il maggior numero di imprese innovative del paese, sul podio a livello regionale si piazza anche il Lazio, con 45.000 imprese innovative (12,5%), seguito dal Veneto, con oltre 38.000 (10,7%). Fanalino di coda è il Mezzogiorno, con regioni quali Sicilia e Puglia che non superano le 10.000 imprese innovative, o addirittura le 5.000 in Calabria e Sardegna.

Piccole per numero di addetti e votate all’ICT e alla consulenza

In generale, le imprese individuate dallo studio presentano fatturati e numero di dipendenti non troppo elevati. Circa il 60% delle realtà più innovative conta infatti meno di 5 dipendenti e fattura meno di 5 milioni di euro. Analizzando, invece, i primi 10 settori merceologici di provenienza delle imprese innovative lo studio evidenzia come il settore ICT continui a mantenere un valore predominante, in particolare, la Produzione di software, insieme a quello della consulenza.

Il 74% è una società di capitali

Quanto alla forma legale delle imprese a maggiore innovazione emerge che nel 74% dei casi si tratta di società di capitali, quindi, realtà maggiormente strutturate e patrimonializzate.
A confermare la solidità di queste imprese è anche l’indicatore di affidabilità calcolato da CRIF: nel 65% dei casi le imprese innovative sono anche quelle più affidabili con rischio minimo o più basso della media.

Come supportarle nella crescita?

“I player finanziari avranno un ruolo chiave nel supportare lo sviluppo di queste imprese innovative – commenta Elena Mazzotti, Chief Client Innovation & Strategy di CRIF -. A fare la differenza sarà la capacità di individuare correttamente il loro profilo e di affiancarle nel percorso di crescita da un punto di vista finanziario e consulenziale, sviluppando un’offerta di servizi che vada a coprire non solo le esigenze di credito, ma anche altri bisogni connessi al ciclo di vita dell’impresa. Ad esempio, internazionalizzazione, piani di transizione verso una produzione sostenibile, advisory connessa all’utilizzo del PNRR e delle fonti di finanza, e coperture assicurative specifiche per differenti tipi di rischi”.

Perchè i criminali informatici colpiscono soprattutto le PMI?

In occasione della Giornata Internazionale delle PMI promossa dalle Nazioni Unite, Kaspersky ha presentato un report completo che mette in luce i crescenti pericoli che le piccole e medie imprese (PMI) devono affrontare nel panorama attuale delle minacce informatiche. Considerando che le PMI costituiscono il 90% di tutte le aziende a livello globale e contribuiscono al 50% del prodotto interno lordo mondiale, è necessario rafforzare le misure di sicurezza informatica per proteggere questi importanti attori economici. Il nuovo report di Kaspersky, intitolato “Threats to SMB”, ha evidenziato una realtà preoccupante: i criminali informatici continuano a colpire le PMI utilizzando una serie di tecniche sofisticate. Il numero di dipendenti delle PMI che si sono imbattuti in malware o software indesiderati, camuffati da applicazioni aziendali legittime, è rimasto relativamente stabile rispetto all’anno precedente (2.478 nel 2023 rispetto a 2.572 nel 2022), e i criminali informatici persistono nel tentativo di infiltrarsi in queste aziende.

Phishing via email, messaggi di testo ingannevoli… le minacce sono molteplici

I truffatori utilizzano una vasta gamma di metodi, tra cui sfruttamento di vulnerabilità, phishing via email, messaggi di testo ingannevoli e persino link YouTube apparentemente innocui. L’obiettivo è sempre quello di accedere a dati sensibili. Questa tendenza preoccupante evidenzia la necessità urgente di rafforzare le misure di sicurezza informatica per proteggere le PMI dalle costanti minacce informatiche. Il report ha rilevato che nei primi cinque mesi del 2023 sono stati individuati 764.015 file dannosi destinati alle PMI.
Gli exploit sono state le minacce più diffuse, rappresentando il 63% (483.980) dei rilevamenti nei primi cinque mesi dell’anno. Questi programmi malevoli sfruttano le vulnerabilità dei software, consentendo ai criminali di eseguire malware, aumentare i privilegi o distruggere applicazioni critiche senza alcuna azione da parte dell’utente.
Inoltre, le minacce di phishing e truffe rappresentano un rischio significativo per le PMI. I criminali informatici riescono facilmente a indurre i dipendenti a divulgare informazioni riservate o a cadere vittime di truffe finanziarie. Alcuni esempi di queste tecniche fraudolente includono false pagine di servizi bancari, spedizioni o credito, create per ingannare le persone inconsapevoli.

Cos’è lo smishing?

Il report di Kaspersky mette anche in evidenza un metodo spesso utilizzato per infiltrarsi negli smartphone dei dipendenti, chiamato “smishing”, una combinazione di SMS e phishing. Questa tecnica prevede l’invio di un messaggio contenente un link tramite diverse piattaforme come SMS, WhatsApp, Facebook Messenger, WeChat e altre. Se l’utente clicca sul link, il dispositivo viene esposto al caricamento di codici malevoli che possono comprometterne la sicurezza.

Vulnerabilità da non sottovalutare

I dati utilizzati nel report sono stati raccolti da gennaio a maggio 2023 tramite Kaspersky Security Network (KSN), un sistema protetto per l’elaborazione di dati anonimizzati relativi alle minacce informatiche, condivisi volontariamente dagli utenti Kaspersky. 
“Le vulnerabilità affrontate dalle PMI non devono essere sottovalutate. Poiché queste aziende sono alla base dell’economia di molti Paesi, è essenziale che governi e organizzazioni intensifichino gli sforzi per salvaguardare queste imprese. La consapevolezza e gli investimenti in solide soluzioni di sicurezza informatica devono diventare una priorità assoluta per proteggere le PMI dalle minacce informatiche in costante evoluzione”, ha dichiarato Vasily Kolesnikov, esperto di sicurezza di Kaspersky.

Il settore turistico non conosce i propri clienti

Il percorso delle aziende verso la creazione di una relazione coerente e integrata con i turisti è ancora lungo. Il settore turistico italiano non conosce i propri clienti: solo il 6% delle imprese turistiche ha una buona conoscenza di profili, gusti e preferenze dei visitatori, mentre il 38% non ne ha nemmeno una conoscenza sufficiente. Secondo il rapporto sulla digitalizzazione dei canali di vendita nel settore turistico, realizzato dagli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano in collaborazione con Minsait, solo il 2% delle aziende ha instaurato con i clienti una relazione continuativa, mentre il 37% riesce a farlo solamente su alcuni canali di contatto o per alcune categoria di clienti o attività.
E quasi due terzi delle imprese interagisce con i clienti solo nel momento dell’effettiva vendita o fruizione del servizio.

L’immaturità si ripercuote sulla qualità dell’offerta

Una situazione di immaturità che impedisce di avere una visione completa dei turisti nazionali e internazionali che scelgono l’Italia come destinazione. Solo il 27% delle imprese del settore ha infatti raggiunto la cosiddetta Single Customer View, mentre il 43% ha iniziato a costruirla solo con alcuni dati a disposizione, e tra i rimanenti, circa un terzo non ha ancora integrato nessuna tipologia di dato.
Tutto ciò si ripercuote sulla qualità dell’offerta in un settore centrale per l’economia italiana.

La chiave per un turismo intelligente

 “Dobbiamo essere aperti alla rivoluzione tecnologica e digitale per avvicinare le nostre meraviglie nel modo migliore ai nostri visitatori – afferma Alberto Bazzi, direttore di Digital Business Technologies di Minsait Italia -. E questo significa concentrare l’innovazione in tre aree prioritarie: Dati, Customer Experience e Phygital”.
Nel turismo italiano, i principali canali di contatto utilizzati nella relazione con i visitatori sono social network, siti web proprietari, email e contact center, presidiati dalla quasi totalità delle imprese del settore. Per quanto riguarda i canali transazionali, emergono le strutture ricettive (hotel e i villaggi vacanze) e i siti web, che svolgono un ruolo chiave anche nelle attività di customer relations e comunicazione unidirezionale, affiancati dalle agenzie viaggi, social network, contact center e siti di aggregatori online.

L’integrazione digitale è ancora lontana

Tuttavia, la presenza in questi canali non garantisce un’efficace integrazione dei dati raccolti. Il settore, infatti, non ha ancora raggiunto una vera omnicanalità. Solo il 16% delle aziende è in grado di tracciare i propri clienti su tutti i canali, mentre il 60% riesce a farlo solamente su alcuni (ad esempio, quelli digitali). Il 24% delle imprese non è invece in grado di riconoscere i clienti quanto si interfacciano con i canali aziendali. Il 51% delle aziende turistiche, però, ha iniziato a raccogliere le informazioni in un singolo database o in più database comunicanti tra loro, sebbene resti ancora lontana una vera integrazione digitale. Le imprese non hanno infatti ancora un’infrastruttura tecnologica evoluta, come un’architettura a microservizi, o un Digital Integration Hub.

Internet advertising: nel 2023 raggiunti 4,8 miliardi

A quanto emerge dall’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano, a fine 2022 il mercato pubblicitario italiano ha raggiunto il valore di 9,4 miliardi di euro, in leggera crescita (+1%) rispetto al 2021. All’interno di questo panorama, con una quota del 48% Internet conferma la propria leadership, seguito da Tv (37% e -5%), Stampa (7% e -6), Radio (4% e +2%) e Out of Home (4% e +40%).
A fine 2022 il valore dell’Internet advertising ha raggiunto 4,5 miliardi di euro, +4% rispetto al 2021. E nel 2023 si assisterà a una crescita che potrebbe assestarsi attorno al +7%, pari a oltre 4,8 miliardi.

Il Video traina la crescita

Nel 2022 aumenta però la concentrazione dell’Internet advertising nelle mani dei grandi player internazionali, che raccolgono l’81% degli investimenti pubblicitari. La situazione economica ha portato i brand a massimizzare i budget pubblicitari, investendo nei formati che permettono di aumentare i touchpoint con i clienti e le modalità di ingaggio. Non a caso, a trainare la crescita è il formato Video (+8%), che raggiunge quasi 1,6 miliardi e aumenta la sua incidenza sul totale Internet (35%). Tra i formati che lavorano nella creazione di nuovi touchpoint figura anche l’Audio advertising (+37%), comparto che nonostante le dimensioni ancora ridotte, in termini di raccolta complessiva (27 milioni) sta attirando il crescente interesse degli investitori.

Digital Out of Home

Nel 2022 gli investimenti pubblicitari Digital Out of Home valgono 108 milioni, +72% rispetto al 2021. Un trend positivo che proseguirà anche nel 2023 portando il Digital Out of Home a raggiungere 134 milioni (+25%). La componente digitale pesa per il 27% del totale Out of Home (+5%), e traina il mercato grazie a una diffusione sempre più elevata di impianti e una raccolta in salita, con tassi importanti anche nei formati Transit (schermi posizionati in aeroporti, stazioni, metropolitane, o mezzi di trasporto). Una delle sfide più rilevanti riguarda la misurazione ex-post dell’efficacia delle campagne. Soprattutto per le preoccupazioni da parte degli advertiser in merito alla privacy e al tracciamento degli utenti, e il calcolo della reach totale che passerebbe attraverso lo sviluppo di metriche condivise tra gli attori dell’offerta.

Tv 2.0: gestione delle campagne e Video Strategy

Nel 2022 gli investimenti pubblicitari destinati alle Tv connesse valgono 361 milioni (+55%), che nel 2023 saliranno a circa 470 milioni (+29%).
Un trend frutto di diverse dinamiche: un’importante raccolta legata agli eventi sportivi trasmessi su piattaforme OTT, e fruiti largamente sul grande schermo, un costante e repentino aumento della fruizione di applicazioni web, sempre più utilizzate su questi device, e una crescita della componente Addressable legata al palinsesto lineare e ai servizi interattivi di HbbTv dei broadcaster. Nel 2022 è ancora contenuta la raccolta dei nuovi player Advertising Video on Demand, servizi di streaming basati sulla pubblicità, le cui offerte saranno da monitorare per capire se attireranno nuovi budget pubblicitari o andranno a erodere le quote di Tv o Internet.

Gli italiani riducono il “carrello” per continuare a risparmiare

L’inflazione pesa sui carrelli degli italiani, tanto che il 67% ora spende di più rispetto al passato per gli stessi prodotti. Secondo i dati Istat, nell’ultimo trimestre 2022 il potere di acquisto delle famiglie è diminuito quasi del 4% rispetto ai tre mesi precedenti, e la causa principale sembra essere proprio l’aumento dei prezzi. Ma come risparmiano gli italiani quando fanno la spesa? Per far fronte ai rincari gli italiani cercano di evitare soprattutto gli acquisti superflui (42%), scelgono i prodotti in offerta (33%), sfruttano i programmi fedeltà che garantiscono sconti speciali (27%) e aumentano la preferenza alle private label (18%).

A formaggi e salumi non si rinuncia, ma si scelgono le private label

Di fatto, negli ultimi 12 mesi 7 italiani su 10 hanno ridotto i loro acquisti al supermercato a causa dei rincari. Per contenere l’impatto dell’inflazione sui portafogli si tagliano soprattutto le bevande alcoliche (43%), ma anche la frutta e la verdura (40%). Tuttavia, pare che gli abitanti della Penisola non riescano proprio a fare a meno di alcuni prodotti, e anche quando devono risparmiare non rinunciano a formaggi e affettati (37%) né a snack dolci o salati (29%). Osservando però gli acquisti effettuati sulla piattaforma di Everli, anche in questo caso si delinea una tendenza al risparmio. Sono proprio gli ‘irrinunciabili’ formaggi e salumi a guidare i consumi dei prodotti a marchio del distributore, caratterizzati in genere da un prezzo mediamente più conveniente rispetto all’offerta dei brand più noti.

Nuove e virtuose abitudini

Per far fronte ai rincari i consumatori confermano di aver acquisito nuove e virtuose abitudini, come, ad esempio, fare acquisti al supermercato in maniera più mirata e consapevole (41%), valutare con più attenzione il rapporto qualità-prezzo dei prodotti (37%) e monitorare sconti e offerte più frequentemente (31%). Una propensione al risparmio che sembra essere entrata anche nelle cucine degli italiani, con il 43% che dichiara di aver imparato a preparare nuove ricette per utilizzare gli avanzi e contenere gli sprechi alimentari. Non solo, oltre 9 italiani su 10 (94%) affermano di voler introdurre ulteriori soluzioni per risparmiare nei prossimi tre mesi.

Il supermercato abituale non si cambia, i marchi acquistati sì

Se si è ancora restii ad abbandonare il supermercato abituale e dirigersi verso uno più conveniente (8%), il caro prezzi dirada la fiducia nei confronti dei brand, e i consumatori scelgono prodotti più economici a prescindere dal marchio (64%), o si rivolgono a mercati rionali o fattorie con rivendita diretta (34%). Secondo la ricerca, a essere maggiormente colpite dal caro prezzi sono le donne, che ammettono di aver percepito rincari pari al 10% (63% delle intervistate), contro una media del 5% riferita dagli uomini (66% degli intervistati). Ma nonostante i tentativi messi in atto per risparmiare, ci sono beni che non possono essere depennati dalla lista della spesa, e che possono influire sui bilanci familiari e personali.

Cybersecurity e sostenibilità: le best practice di un’interazione

Oggi la cybersecurity dovrebbe essere ripensata secondo logiche diverse, che comprendano tutto l’ecosistema della sicurezza digitale. La sicurezza informatica non riguarda più soltanto le infrastrutture digitali, ma anche le persone e le cose. Un attacco informatico di una certa portata può infatti avere drammatici effetti a cascata su un’intera comunità, dalle istituzioni ai cittadini. Si pensi, ad esempio, alle possibili interruzioni di servizi fondamentali come le telecomunicazioni o altri pubblici servizi. Sostenibilità e cybersecurity hanno quindi un forte legame. E appare sempre più necessario mettere in atto best practice che agiscano sulle persone, oltre che sui processi, per migliorare la sicurezza nel suo complesso.

Logiche ESG per combattere i cyber rischi 

In termini di obiettivi ESG, migliorare la sicurezza di un’organizzazione significa renderla più efficiente e quindi più sostenibile. Ma per fare ciò non è sufficiente dotarsi di una policy aziendale sulla sicurezza, bisogna metterla in pratica sia con azioni concrete di sorveglianza e manutenzione fisica delle strutture, sia con precise politiche di sicurezza e controllo basate su standard validi a livello internazionale. In tal modo, la standardizzazione della cybersecurity agevolerebbe l’operato delle aziende, facendola di fatto rientrare tra le logiche ESG.
D’altronde la sostenibilità altro non è che l’utilizzo delle risorse secondo i propri bisogni attuali ma senza esaurirle. Lo stesso vale nell’ambito della sicurezza informatica. La sostenibilità si raggiunge nella riduzione dei cyber rischi, minimizzando i costi e massimizzando l’efficacia dei processi.

Un cambio di approccio nei processi aziendali

Anche il World Economic Forum ha sottolineato come la cybersecurity sia da considerare un elemento ESG. Prima di tutto perché la maggioranza (90%) del valore patrimoniale delle organizzazioni non è di natura fisica. Secondo, tutte le organizzazioni hanno aumentato decisamente le transazioni digitali con conseguente impennata dei crimini informatici. Terzo, è preferibile migliorare i livelli di sicurezza informatica piuttosto che spendere capitali per porre rimedio ai danni causati.
Insomma, meglio prevenire che curare. Ma il processo di consolidamento tra sostenibilità e cybersecurity prevede una serie di best practice che spesso implicano un cambio di approccio da parte di diversi attori coinvolti nei processi.

Aggiornare le skills informatiche delle persone

Tra le best practice, rientrano il mantenimento di politiche di sicurezza dei dati da parte delle organizzazioni, l’aggiornamento delle competenze in ambito cybersecurity di dipendenti e collaboratori, e l’impegno nella gestione di piani di valutazione dei rischi e di piani di continuità.
In particolare, l’aspetto dell’aggiornamento delle skills informatiche risulta a oggi spesso solo formale, con un coinvolgimento attivo marginale delle persone.
Al contrario, riporta Adnkronos, il ruolo e i comportamenti di ognuno di noi sono importanti per arginare il fenomeno dei crimini informatici, e raggiungere una sinergia tra cybersecurity e sostenibilità, in azienda come a livello globale.

Gli italiani, la genitorialità e la maternità surrogata. Cosa ne pensano?

Secondo un sondaggio Ipsos, condotto in occasione della Festa della Mamma 2023, anche oggi diventare genitore è considerato uno step importante della vita, ma non per tutti fondamentale per sentirsi realizzati. E rispetto alla maternità surrogata gli italiani mostrano un atteggiamento tendenzialmente favorevole, pur con molte incertezze. Di fatto, il 41% del campione considera diventare genitori abbastanza importante, anche se ci si può realizzare in altri modi. Ne sono convinti in particolare Boomers e Silent, in particolare, le madri con più di 50 anni: tra queste la percentuale sale addirittura al 57%. Il 31% del campione, e soprattutto i papà (38% tra under-50, 46% tra over-50), attribuisce alla genitorialità un’importanza ancora maggiore per la realizzazione personale, considerandola molto importante o fondamentale.

Mamme di oggi vs mamme di ieri 

Di contro, il 28% considera poco importante o addirittura irrilevante l’esser genitori per sentirsi realizzati. Soprattutto GenZ e Millennials, prevalentemente al Nord, e ancora, tra laureati e non credenti. Nel confronto tra mamme di oggi e mamme del passato emerge in generale un atteggiamento critico verso le prime. La maggioranza è infatti convinta che oggi le mamme siano più permissive (82%), meno capaci di trasmettere valori ed educazione ai figli (74%), più stanche, indifferenti e passive (60%), e più in conflitto con i figli (54%).
Gli unici tratti positivi riguardano la maggiore informazione sulla vita dei figli e dei loro coetanei (52%), e il maggiore aiuto da parte del partner (70%).

Maternità surrogata: un tema che divide

La questione più ‘calda’ dal punto di vista del dibattito politico è la maternità surrogata. Ipsos non registra tanto le opinioni sulla pratica in sé quanto sull’opportunità di registrare come figli di entrambi i genitori i figli nati all’estero tramite questo sistema, laddove questo sia consentito, una volta rientrati in Italia. Su questo aspetto specifico, recentemente al centro delle polemiche politiche, gli italiani mostrano un atteggiamento tendenzialmente favorevole. Il 40% si dichiara favorevole alla registrazione, ma oltre un italiano su tre (36%) non riesce a esprimersi. A essere contrario è il 24%.
Si rileva poi una differenza sensibile tra uomini e donne, indifferentemente dall’età e dall’essere o meno genitori. I pareri favorevoli salgono al 44% tra le donne, mentre si fermano al 35% tra gli uomini.

Un atteggiamento trasversalmente aperto

Non sorprende, poi, che le opinioni sul tema risultino molto correlate all’orientamento politico degli intervistati. Tra chi si colloca a destra o nell’estrema destra la quota dei favorevoli passa in minoranza (26%) e prevalgono i contrari (45%), mentre a sinistra o nel centrosinistra le posizioni favorevoli sono decisamente più marcate (rispettivamente 55% e 56%). Da notare che anche tra chi dichiara di collocarsi politicamente al centro o nel centrodestra prevalgono, seppur di poco, i pareri favorevoli (rispettivamente 38% e 37%) su quelli contrari (34% e 27%). Segno di un atteggiamento trasversalmente aperto verso queste ipotesi, pur nell’incertezza testimoniata dal grande numero di opinioni incerte.

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