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Cyber minacce sempre più forti, il ruolo della resilienza informatica

Le minacce informatiche sono una costante di questi ultimi anni e, complici anche tensioni internazionali tra le maggiori superpotenze e tra produttori di chip e cryptominer, stanno addirittura aumentando, mettendo in pericolo soprattutto aziende grandi e piccole. Probabilmente l’attuale contesto delle minacce cyber è un effetto collaterale del passaggio al lavoro da remoto incentivato dalla pandemia e dell’esposizione alle vulnerabilità della supply chain. Per esplorare cosa stia accadendo a livello di rischi informatici Acronis ha individuato alcune tendenze da tenere sotto controllo nel 2022.

Cosa è accaduto quest’anno

 Il ransomware è sempre in cima all’elenco delle minacce, mentre il furto dei dati e le perdite economiche rappresentano solo una parte del quadro complessivo, di cui fanno parte anche l’esposizione dei dati sensibili e le minacce ransomware perpetrate da parte di gruppi politici e di attivisti. I contrasti interni che emergono nei gruppi di ransomware possono portare alla diffusione dei dati privati di un’organizzazione, anche se la vittima ha pagato il riscatto, il che rende tali minacce ancora più serie. Le e-mail potenzialmente dannose e quelle di phishing sono ancora il principale vettore di infezione da cui originano gli attacchi. Gli attacchi alle supply chain software, come Log4j e SolarWinds, colpiscono migliaia di organizzazioni in tutto il mondo, minacciando infrastrutture critiche e aziende. Gli attacchi silenti, in particolare quelli perpetrati tramite i collaboratori da remoto che spesso lavorano sui propri dispositivi, sono un altro potenziale problema di sicurezza, che i cybercriminali sfruttano per accedere ai sistemi e rubare le informazioni senza che la vittima ne sia consapevole. Spesso si tratta di spionaggio industriale. Aumenta anche la frequenza degli attacchi ai sistemi Linux e macOS. In questo contesto in evoluzione, le organizzazioni puntano a creare piani di resilienza coesi che consentano di proteggere la proprietà intellettuale, i clienti e le supply chain. Per districarsi tra le potenziali minacce, molte aziende si affidano ai Managed Service Provider (MSP) e a professionisti dell’IT esterni.

Resilienza informatica per MSP e professionisti dell’IT

“Oltre alla Cyber Security, uno degli argomenti più discussi è oggi la resilienza informatica, ovvero la capacità dell’infrastruttura IT di reggere a cambiamenti e trasformazioni e di tornare rapidamente a una condizione di stabilità. In altri termini, al reparto IT spetta il compito di realizzare un’infrastruttura IT capace di funzionare in modo continuativo anche dopo aver subito un attacco o una potenziale compromissione da parte dei criminali informatici (una ricerca di IDC ha evidenziato che nei due anni passati il 73% delle aziende ha subito una grave violazione della sicurezza). Service Provider e i professionisti dell’IT che forniscono servizi di sicurezza devono partire dal presupposto che i dati sono costantemente sotto attacco. Va quindi da sé che la resilienza informatica debba garantire la continuità aziendale durante un attacco e l’esecuzione del ripristino nella fase successiva”, commenta Denis Cassinerio, Regional Sales Director per l’Europa meridionale di Acronis. “È altrettanto importante saper valutare le esigenze specifiche dei clienti, i cui requisiti possono variare in funzione del settore e dell’area geografica in cui operano, del tipo di dati che vengono archiviati e dell’entità del lavoro da remoto. Offrire diversi livelli di piani di sicurezza e conoscere tutti i dettagli è un valido aiuto per erogare il livello di protezione più adatto. Per creare il piano di resilienza informatica più efficace per ogni cliente occorre valutare i rischi a cui è più vulnerabile, analizzare l’intera organizzazione e documentare i processi e le procedure aziendali chiave”.

Export alimentare Made in Italy: nel 2022 record +20%

Nel 2022 l’export alimentare Made in Italy segna un nuovo record: con un balzo del 20% supera i 52 miliardi registrati nel 2021. A preoccupare però sono gli effetti del conflitto in Ucraina, con i rincari energetici che stanno colpendo i consumi a livello globale. È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sui dati Istat relativi al commercio estero nel primo trimestre 2022.  Le esportazioni verso la Germania, il principale mercato di sbocco, nel primo trimestre aumentano del 9’%, verso la Francia del 17%, e gli Usa mettono a segno un +21%. Ma il vero boom si è verificato nel Regno Unito (+29%), dove l’export tricolore si è rivelato più forte della Brexit. Al contrario, la Cina segna un -18%, e se la Russia indica un +4%, sul risultato sono destinate a pesare la guerra in Ucraina e le sanzioni. Nel solo mese di marzo le vendite in Russia sono crollate del 35%.

Il paniere italiano all’estero: vino e prodotti base della dieta mediterranea 

All’estero le vendite del Made in Italy sono sostenute soprattutto dai prodotti base della dieta mediterranea. Come il vino, che svetta sul podio con una crescita del 18% nei primi sei mesi, davanti a frutta e verdura fresca. Ma nel paniere del Made in Italy all’estero recitano un ruolo importante anche pasta, formaggi, olio d’oliva e salumi, nonostante a livello nazionale resti da colmare il pesante deficit produttivo in molti settori importanti, dalla carne ai cereali fino alle colture proteiche, necessarie per l’alimentazione degli animali negli allevamenti.

Gli spumanti trainano le vendite negli States: +18%

Il vino è anche il prodotto italiano più gettonato negli Usa dove, con un incremento del 13% registrato nel primo trimestre 2022, rappresenta quasi un terzo dell’intero valore dell’export agroalimentare, grazie al traino degli spumanti, che crescono addirittura del 18%. Aumenti a doppia cifra (+16%) anche per l’olio d’oliva, al secondo posto tra i prodotti Made in Italy più amati negli States, poco davanti alla pasta, che però mette a segno un balzo del 23%. Bene anche confetture, passate e succhi, in crescita del 21%, che precedono i formaggi, i quali però mettono a segno un risultato ancora migliore (+28%) nonostante siano penalizzati dalla larga diffusione sul mercato americano delle imitazioni.

La leadership tricolore nel biologico

Alla base del successo del Made in Italy c’è un’agricoltura divenuta la più green d’Europa, con la leadership nel biologico di 80mila operatori, il maggior numero di specialità Dop/Igp/Stg riconosciute (316), 526 vini Dop/Igp e 5.333 prodotti alimentari tradizionali, oltre a Campagna Amica, l’ampia rete dei mercati di vendita diretta degli agricoltori. Il Belpaese, spiega la Coldiretti, è il primo produttore Ue di riso, grano duro e vino, e di molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea, come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi. E anche per quanto riguarda la frutta, primeggia in molte produzioni importanti: dalle mele e le pere fresche alle ciliegie, le uve da tavola, i kiwi, le nocciole fino alle castagne.

Lavoro, chi seleziona il personale deve guardare al futuro

Attraverso l’analisi del curriculum vitae, le referenze e l’immagine online del candidato a una posizione lavorativa, chi si occupa di recruiting compone un’istantanea dei profili migliori, per poi scegliere quello più idoneo in base alle esigenze dell’azienda. Il processo di selezione tradizionale prevede di premiare con l’assunzione la persona con le migliori competenze e le capacità più adatte a soddisfare i bisogni dell’organizzazione. Per questo motivo, negli annunci di lavoro, viene elencata una serie di requisiti fondamentali che devono trovare risposta nei curricula inviati. Ma è davvero sufficiente focalizzarsi sul presente al momento della selezione del personale?

Il recruiter non deve pensare unicamente al presente

Secondo Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera, la risposta è no.
“Chi struttura un processo di selezione del personale pensando alle necessità attuali dell’azienda sbaglia, per il semplice fatto che quel candidato non dovrà lavorare oggi – spiega Adami -. No, sarà al lavoro domani, il giorno dopo e il giorno dopo ancora, e per questo motivo chi si occupa di recruiting non deve pensare unicamente al presente, concentrandosi invece anche e soprattutto sul futuro”.

La società sta cambiando e la tecnologia corre ancora più rapidamente

Certo, un tempo era possibile concentrarsi solamente sul presente. Fino a qualche decennio fa, infatti, i cambiamenti all’interno dei vari settori erano piuttosto lenti. Oggi la situazione è invece profondamente diversa.
“La società sta cambiando velocemente, e l’evoluzione tecnologica sta correndo ancora più rapidamente – aggiunge l’head hunter -. Questo significa che per rimanere al passo è necessario aggiornarsi continuamente, senza mai smettere di imparare. Dal punto di vista di chi si occupa di ricerca e selezione del personale vuol dire anche che non bisogna assumere ciecamente chi soddisfa i criteri richiesti dall’azienda oggi, bensì chi riuscirà a farlo domani e dopodomani, andando oltre i titoli e le hard skills”.

Serve anche una conoscenza del settore specifico

La semplice analisi del curriculum vitae può quindi dare solo una prima idea sulle effettive capacità del candidato. Per effettuare la scelta giusta è necessario condurre interviste in profondità, e soprattutto, conoscere bene quelli che potranno essere gli sviluppi del settore.
“Questo significa che la selezione del personale deve essere fatta a partire da uno studio profondo dei candidati, nonché da una conoscenza specialistica del settore: non è un caso se la nostra società di head hunting può contare su cacciatori di teste specializzati in singoli settori – sottolinea Adami -. Un recruiter che si presta a processi di selezione per qualsiasi settore, dall’automotive al marketing, dal retail alla sanità, non può infatti avere le competenze sufficienti per capire davvero di cosa ha e avrà bisogno un’azienda per continuare a essere competitiva”.

I nuovi scenari dell’Agrifood italiano

La pandemia, la situazione internazionale, l’economia… Sono tanti i fattori che inevitabilmente impattano sul settore agroalimentare italiano. A fare una “fotografia” del comparto è stato il report “Una nuova prospettiva per l’agroalimentare dell’Emilia-Romagna”,  una puntuale analisi che ha approfondito gli scenari futuri del settore anche alla luce del recente conflitto ucraino e dei finanziamenti in arrivo da PNRR e nuova PAC, presentato da Nomisma a Bologna con la partecipazione di partner importanti.

Prezzi in aumento e materie prime difficili da reperire 

L’emergenza pandemica e la guerra in Ucraina esasperano il trend rialzista dei prezzi di input energetici, produttivi e dei trasporti. A fronte di una crescita a doppia e tripla cifra da dicembre 2019 allo stesso mese del 2021, nei primi 4 mesi del 2022 le quotazioni continuano a salire. Emerge, inoltre, con forza la dipendenza per gli approvvigionamenti (soprattutto energetici) dai paesi coinvolti nel conflitto e “le imprese risentono sensibilmente della crescita dei costi e delle difficoltà di approvvigionamento” ha detto Ersilia Di Tullio, senior project manager di Nomisma. Anche i prezzi delle materie prime agricole, già in rapida ascesa nel 2020 e 2021, segnano ulteriori rilevanti incrementi da dicembre 2021 ad aprile 2022. “Lo scenario bellico è, anche in questa circostanza, ulteriore fonte di preoccupazione per le imprese alimentari e mangimistiche perché da Russia e Ucraina l’Italia importa quote sensibili di materie prime agricole, in particolare olio e panelli di girasole, oltre che mais”.

L’impatto della situazione in Ucraina

Nonostante questa dipendenza, tuttavia Russia e Ucraina hanno un peso limitato nella bilancia commerciale italiana, con valori ben distanti dai nostri maggiori partner internazionali: Francia, Germania e Spagna per l’import; Germania, Stati Uniti e Francia per l’export. “Le importazioni complessive in Italia corrispondono a 48,5 miliardi di euro, ma l’incidenza sul totale dell’Ucraina è dell’1,3% e della Russia di appena lo 0,5%, mentre le esportazioni nazionali raggiungono i 52 miliardi di euro e Russia e Ucraina pesano rispettivamente 1,3% e 0,7% del totale” ha detto Di Tullio.

Export e consumi interni dopo la pandemia

“Si tratta di incidenze che non compromettono le nostre brillanti performance sull’estero” ha aggiunto la manager. L’export agroalimentare italiano è infatti cresciuto del +15% nel 2021/2019 e addirittura del +35% nel 2021/2016, registrando un surplus nella bilancia commerciale 2021 di 3,5 miliardi euro.  Meno brillanti, invece, i numeri dei consumi food&beverage interni, con una significativa flessione del 7% nel 2021 rispetto al 2019, legata al forte impatto sull’Horeca della pandemia ed a un non completo recupero dei consumi fuori casa.

Come cambiano le abitudini di consumo degli italiani 

Nel 2022 cresce sensibilmente l’inflazione (+6,2% l’indice generale di aprile 2022 rispetto allo stesso mese del 2021), con aumenti che riguardano in primis abitazione, acqua, elettricità e consumi (+26,9%)e trasporti (+9%), seguiti dagli alimentari e bevande analcoliche (+6,7%).
Conclude Di Tullio: “La perdita di potere d’acquisto delle famiglie intaccherà marginalmente i consumi alimentari domestici anche se è attesa una razionalizzazione della spesa, con contrazione degli sprechi e grande attenzione al prezzo. Ma limiterà di molto i comportamenti degli italiani che si dichiarano pronti a rinunciare a viaggi (23%) e consumi fuori casa (21%), ritardano così ulteriormente la ripresa dell’Horeca”.

Pandemia: cosa e come è cambiato nel mondo del lavoro?

Se il mese di maggio ha segnato un nuovo importante passo verso il ritorno alla normalità, e prima o poi il Covid-19 resterà un terribile ricordo, dopo la pandemia il mondo del lavoro non tornerà quello di prima. 
“Di certo la gestione delle risorse umane non fa eccezioni – spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati -. Anzi, è forse proprio nella gestione e nella selezione dei talenti che il mondo del lavoro è cambiato maggiormente con l’emergenza sanitaria”.
Ma quando si pensa alle rivoluzioni portate o accelerate dalla pandemia si pensa soprattutto allo smart working. “Il lavoro agile è qualcosa che era già pronto a diffondersi, ma con la pandemia ha conosciuto un’enorme accelerazione”, continua Adami. Oggi infatti si allarga il fronte dei lavoratori desiderosi di mantenere il lavoro da remoto.

Il lavoro agile richiede flessibilità mentale

“La maggior parte dei candidati punta a uno o due giorni di lavoro in agilità alla settimana, per meglio equilibrare sfera professionale e personale”, sottolinea Adami.
Non si parla però solo di smart working: la pandemia ha cambiato in modo diretto e indiretto anche altri aspetti del mondo del lavoro. Da una parte il Covid-19 ha portato le aziende a cercare qualcosa di diverso nei nuovi assunti, soprattutto agilità e flessibilità mentale, dall’altra ha portato i dipendenti a focalizzarsi maggiormente sull’importanza del proprio benessere fisico e psicologico.
“In generale, le persone sono meno disposte a fare compromessi su questi aspetti, e il significativo aumento di dimissioni volontarie che hanno avuto luogo anche in Italia lo dimostra”, aggiunge Adami.

Il fenomeno delle dimissioni volontarie

A dimostrare che la Great Resignation non è un fenomeno unicamente americano, un’indagine Aidp, Associazione italiana per la direzione del personale, effettuata su 850 rispondenti tra direttori del personale e aziende, attesta che il 75% delle aziende italiane ha già avuto a che fare con un aumento delle dimissioni volontarie. In particolare, per quanto riguarda le aree informatica, marketing e produzione.
“L’aumento delle dimissioni è in linea con la volontà via via più forte dei dipendenti di avere un lavoro quanto più possibile ideale – commenta l’head hunter -: si mira a posti in cui sia possibile fare davvero la differenza, in cui ci si possa sentire un elemento integrante e indispensabile”.

I Millennial chiedono formazione continua

Nel caso dei lavoratori più giovani sono ulteriori gli aspetti da prendere in considerazione: “per i Millennial è particolarmente importante il tema della formazione continua in azienda, con la possibilità di crescere, di imparare e di fare carriera, che finisce per superare per importanza il fattore stipendio”, dichiara Adami.
Non va poi sottovalutato il fatto che i giovani sono sempre meno disposti a lavorare per realtà che non rispecchiano i loro valori: “anche questo punto deve essere tenuto in grande considerazione – puntualizza Adami – per non vedere calare inesorabilmente le candidature in risposta ai propri annunci di lavoro”.

Second hand, un business che in Italia vale 24 miliardi

Cose da buttare, di nessun valore? Assolutamente no: gli oggetti di seconda mano, quelli che hanno già una vita alle spalle, sono un’autentica miniera d’oro. Lo rivela l’ottava edizione dell’Osservatorio Second Hand Economy condotto da Bva Doxa per Subito, piattaforma per vendere e comprare in modo sostenibile, che ha analizzato comportamenti e motivazioni degli italiani rispetto alla compravendita dell’usato. Tra l’altro, il 2021 segna lo sdoganamento a tutti gli effetti della second hand, che entra a pieno titolo tra i comportamenti di consumo abituali degli Italiani, grazie al boost del digitale che contribuisce a rendere questa forma di compravendita più assimilabile all’esperienza del percorso d’acquisto dell’e-commerce. 

Sono 23 milioni gli italiani che la scelgono

Sono infatti quasi 23 milioni gli italiani che hanno scelto questa forma di economia circolare e il 66% di chi ha comprato ha guardato alla second hand come primo canale di riferimento, dimostrando, specialmente per le vendite, in crescita rispetto all’anno precedente, di considerare questa modalità come un modo smart di fare spazio, dare valore agli oggetti e guadagnare. Il tutto all’insegna della sostenibilità, che rimane il primo valore di riferimento dell’economia dell’usato (54%). La second hand in Italia nel 2021, riferisce una nota ripresa da Adnkronos, ha generato un valore economico di 24 miliardi di euro, pari all’1,4% del Pil nazionale. La spinta più significativa deriva dal volume degli affari online che costituisce quasi il 50% del totale (49%) ed è passato da 5,4 miliardi di euro nel 2014 a 11,8 nel 2021, con una crescita netta di 1 miliardo di euro anno su anno. È quindi proprio grazie all’online che il valore totale della second hand nel 2021 è tornato a livelli pre-pandemia (24 miliardi nel 2019, 23 nel 2020). 

Sostenibile è bello

La second hand mantiene il terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%), con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 per Laureati (68%), Gen Z (66%), 35-44 anni (70%) e Famiglie con bambini (68%). “La second hand economy nel 2021 entra a tutti gli effetti tra le abitudini di consumo degli Italiani, grazie anche al ruolo propulsivo del digitale, che si è evoluto attraverso l’introduzione di servizi sempre più integrati, che consentono di gestire la compravendita totalmente da smartphone, senza muoversi da casa. Subito, ad esempio, ha sviluppato il servizio Tuttosubito, che permette di comprare e vendere a distanza e in sicurezza, offrendo una customer experience sempre più simile all’e-commerce” ha commentato Giuseppe Pasceri, ceo di Subito. “Siamo quindi orgogliosi di poter contribuire all’evoluzione di questo mercato e di promuoverne i valori in Italia, dove siamo presenti da 15 anni e dove da otto conduciamo questo Osservatorio insieme a Bva Doxa proprio per raccontare valore economico, tendenze e comportamenti di questo mercato così importante per le persone, per il Paese e per il Pianeta”.

Acquisti online: in calo per la prima volta in nove anni

L’inflazione, con un prezzo medio di vendita in aumento dell’11% negli Stati Uniti solo a marzo, i problemi della catena di approvvigionamento e l’insicurezza economica, hanno avuto un impatto sul potere d’acquisto dei consumatori. Questo ha portato a un calo globale della spesa online, dopo diversi trimestri di crescita senza precedenti. La conferma arriva dai dati del Q1 Shopping Index di Salesforce: le vendite digitali globali calano per la prima volta nei nove anni di storia dell’indice.
I dati di Salesforce indicano che con la spesa globale su base annua scesa del 3%, il traffico in calo del 2% e i volumi degli ordini diminuiti addirittura del 12%, la fiducia dei consumatori e la spesa online probabilmente si stabilizzeranno nel resto dell’anno.

Un’economia globale stressata

In particolare, in Europa le vendite online (-13%) e il volume degli ordini (-17%) sono diminuiti in modo significativo, poiché le persone hanno dovuto affrontare un considerevole aumento dei costi del carburante e una guerra all’interno dei propri confini. Insomma, l’economia globale continua a risentire dello stress di una catena di approvvigionamento, mentre persistono i blocchi del lavoro e la chiusura dei porti di Shanghai.  Tra pressioni e ritardi prolungati nella catena di approvvigionamento, il conteggio dei prodotti a magazzino è diminuito del 3% nel primo trimestre del 2022 rispetto al primo trimestre del 2021. Le categorie di prodotti con le maggiori riduzioni di inventario includono giocattoli e apprendimento (-23%), ed elettrodomestici (-12%).

Italia: e-commerce -12%, traffico -2%

In Italia il commercio digitale è calato del 12% su base annua nel primo trimestre 2022. L’Italia ha registrato un calo complessivo del traffico del 2%, in linea con quello globale. In particolare, si segnala che il traffico generato da mobile è calato del 7% mentre il traffico generato da PC è cresciuto del 19% su base annua. A questi dati si associa anche una drastica riduzione degli ordini del -19%.
L’Italia resta tra i paesi con i tassi di conversione, ovvero il rapporto tra traffico online e ordini, più bassi al mondo (1%), battuta solo dall’America Latina (0,9%). Ma nel nostro paese il traffico generato dai social media si attesta al 9%, superando così la media globale, che si attesta all’8%

Pagamento flessibili, una rete di sicurezza per i consumatori

Opzioni di pagamento flessibili come Buy Now Pay Later (BNPL) offrono una rete di sicurezza per i consumatori in tempi incerti, riporta Adnkronos, dando loro la possibilità di effettuare gli acquisti necessari all’istante e di pagare gradualmente. Il 9% della spesa digitale globale del primo trimestre 2022 è stato effettuato utilizzando BNPL (+20% su base annua e + 9% dal quarto trimestre 2021). Germania, Belgio, Australia/Nuova Zelanda e Paesi Bassi hanno registrato i tassi più elevati di utilizzo di BNPL, mentre Francia, Italia, Spagna e Canada hanno registrato la maggiore crescita su base annua.

Come fare un bucato perfetto, economico ed ecosostenibile? 

Non usate le lavanderie a secco, lavate meno, usate prodotti ecosostenibili, optate sempre per il ciclo di 30 minuti (e usate la centrifuga al massimo dei giri), tornate allo stendino, fate durare i vestiti il più a lungo possibile, acquistate consapevolmente, scegliete elettrodomestici ad alta efficienza energetica, e lavate tutto in un unico giorno. Sono i 9 consigli di Patric Richardson per un lavaggio più veloce, più economico ed ecologico. Insomma, per un bucato perfetto. Nel suo libro La magia del bucato, uscito in Italia da Vallardi, Richardson sfata anche alcuni miti sul bucato, come ad esempio, l’uso della candeggina per sbiancare, che al contrario, è responsabile proprio dell’ingiallimento dei capi bianchi. Oltre a essere dannosa per la salute e l’ambiente.

Lavare meno e usare prodotti ecosostenibili

Il primo consiglio però è quello di non usare mai più le lavanderie a secco: i lavaggi a secco danneggiano abiti, salute e ambiente. E poi lavare meno: sarebbe sufficiente fare prendere aria ai vestiti, o dargli una passata veloce di ferro a vapore, o spruzzarlo di vodka per eliminare gli odori. Non lavare se non è necessario farà risparmiare acqua, energie e tempo. Inoltre, usare prodotti ecosostenibili ed eliminare ammorbidente, foglietti per asciugatrice, profumatori per bucato, e candeggina: diffondono sostanze tossiche nell’atmosfera, dannose per l’ambiente e la salute.
Meglio il sapone in scaglie di ottima qualità e di origine vegetale, e per le macchie, meglio usare prodotti casalinghi come alcol al 70% e aceto.

Ciclo breve, e poi stendere all’aria
Optare sempre per il ciclo di 30 minuti, e usare la centrifuga al massimo dei giri: questo permetterà di risparmiare acqua ed elettricità, e di ottenere risultati migliori. Se l’acqua nel cestello è di meno si puliscono meglio i vestiti, e per assurdo la centrifuga rapida procura meno strappi e danni rispetto a un ciclo più lento. E poi tornare allo stendino: stendere il bucato all’aria piuttosto che usare l’asciugatrice è meglio per i capi stessi. Quasi nessun tessuto resiste a più di cinquanta cicli di asciugatrice e lavatrice, e se si elimina il passaggio in asciugatrice si allunga la vita ai capi e si risparmino un sacco di soldi.

Serve davvero l’ennesimo maglione nero a collo alto? Forse no

Valutare attentamente ogni acquisto: serve davvero l’ennesimo maglione nero a collo alto? Forse no. E se sì, sostenere marchi che pagano il giusto i lavoratori, si impegnano per tutelare l’ambiente, riducono o eliminano sprechi e inquinamento, e usano fibre naturali, che sono tutte risorse rinnovabili. Non come i tessuti sintetici, riporta Ansa, che rilasciano microplastiche negli oceani, inquinandoli. Valutare anche l’idea di riciclare i capi smessi, o regalarli a un’organizzazione no-profit. E in caso si abbia intenzione di comprare una nuova lavatrice, che sia ad alta efficienza energetica: consuma meno acqua ed energia  Ultimo consiglio: stabilire una giornata unica per il bucato significa anche non doverci pensare per tutta la settimana successiva. Un regalo inestimabile.

Il 37% degli italiani pensa di cambiare lavoro

Il mondo del lavoro cambia, anche perchè “Non si può cancellare l’esperienza vissuta e l’impatto che gli ultimi due anni continueranno ad avere sul mercato del lavoro, poichè flessibilità e benessere sono diventati elementi non negoziabili per i dipendenti”. Sono solo alcune delle parole espresse da Jared Spataro, Corporate Vice President, Modern Work, Microsoft, nel presentare i dati della nuova edizione del Work Trend Index di Microsoft. “Accogliendo e rispondendo in modo proattivo a queste nuove aspettative, le aziende hanno la possibilità di ripensare l’impostazione del proprio business e il ruolo dei dipendenti per raggiungere obiettivi di successo in un orizzonte di lungo termine”.

Cosa si vuole dal lavoro?

I dipendenti hanno seguito negli ultimi due anni una nuova visione di ciò che vogliono dal lavoro e cosa sono disposte a sacrificare per esso, riferisce Italpress. L’indagine di Microsoft sottolinea fortemente questa tendenza. Con il 54% degli italiani ora più propensi a dare priorità alla propria salute e al proprio benessere rispetto al lavoro. Questo trend trova anche riscontro nel dato sugli intervistati che l’anno scorso hanno lasciato il lavoro. Il 17% in Italia, quasi uno su cinque. Il cosiddetto “Great Reshuffle” è tutt’altro che concluso e interessa anche il Belpaese anche se in misura leggermente inferiore che a livello globale: il 37% dei lavoratori dichiara che probabilmente prenderà in considerazione un nuovo lavoro nel prossimo anno (a livello globale è il 43%). Ecco perchè è più importante che mai chi i manager sappiano agire a protezione della produttività aziendale. Senza però trascurare i problemi e le richieste dei dipendenti. Per esempio, nonostante l’innegabile desiderio di flessibilità che traspare dalla ricerca (il 41% dei lavoratori considera di passare a modalità di lavoro remote o ibride nel prossimo anno), il 47% dei dirigenti italiani sostiene che la propria azienda prevede un rientro a tempo pieno in ufficio nel 2022.

La sfida per i leader

La sfida per i leader è quella di motivare i dipendenti a tornare anche in ufficio, trovando nuovi stimoli e opportunità. Infatti, oggi il 33% dei lavoratori “ibridi” in Italia trova difficile capire quando e perchè lavorare dall’ufficio. Solo il 27% dei dirigenti italiani ha pattuito nuovi accordi aziendali per il lavoro ibrido. Queste nuove norme dovranno garantire che lo spazio dell’ufficio sia arricchente per i dipendenti, aiutandoli a sentirsi parte dell’azienda. Inoltre è interessante che il 46% dei dipendenti in Italia si dichiara aperto a sfruttare anche spazi digitali immersivi nel metaverso per future riunioni.
L’analisi dei dati di produttività in Microsoft 365 dimostra che le riunioni e le chat sono in aumento. Spesso estendendosi oltre il tradizionale orario lavorativo. Infatti, la media settimanale di tempo trascorso in riunioni su Teams a livello globale è aumentata del 252% da marzo 2020, e il lavoro extra-time e nel fine settimana è cresciuto rispettivamente del 28% e del 14%.

Come la Realtà Aumentata cambierà le vendite al dettaglio

Veder un oggetto, personalizzarlo, esaminarlo in tutti i suoi dettagli senza nemmeno… toccarlo. Ecco cosa consente di fare la Realtà Aumentata, una delle tecnologie che più delle altre sembra essere destinata a rivoluzionare l’esperienza di vendita, sia online sia offline. Proprio perchè generare traffico ed engagement nelle vendite online sta diventando sempre più complesso, la realtà aumentata può essere una risposta subito attuabile che può aiutare i rivenditori a interagire con gli utenti, aumentare la soddisfazione cliente e ridurre i resi. I numeri e le possibilità della AR sono quindi il tema di un’analisi recentemente diffusa da Yakkyofy, azienda italiana, leader nel settore dei servizi per eCommerce e dropshipping che ha lanciato un servizio che offre file 3D per la visualizzazione in Realtà Aumentata, facilmente utilizzabili su tutte le principali piattaforme di shopping. Secondo Statista, il mercato della realtà aumentata è arrivato a valere oltre 30,7 miliardi di dollari e nel 2021 sono già stati venduti oltre 400.000 occhiali grazie all’AR.

Solo ‘1% dei venditori online utilizza la AR

I rivenditori online stanno lentamente adottando l’AR, ma oggi solo l’1% di loro utilizza attivamente questa tecnologia. Infatti, in un rapporto di Mobile Marketer, il 52% dei rivenditori ha affermato di non essere pronto ad utilizzare l’AR o altre tecnologie simili. L’AR può aiutare i clienti a capire meglio come un prodotto appare, a valutarne i dettagli da tutte le angolazioni permettendogli, in questo modo, di capire esattamente cosa stiano acquistando e rendendo più facile soddisfare le loro aspettative. Le statistiche mostrano che l’AR aumenta la fiducia degli acquirenti, tanto che il 71% dei consumatori afferma che acquisterebbe più spesso se potesse utilizzare l’AR e il 61% di loro dichiara di preferire gli store che offrono esperienze AR. 

Vedere prima di acquistare si traduce in meno resi

Secondo uno studio condotto da UPS, il 27% dei consumatori restituisce i prodotti senza una ragione precisa, di conseguenza permettergli di “vedere da vicino la merce prima di acquistarla” anche se virtualmente, può fornire loro maggiori informazioni per decidere se effettuare o meno l’acquisto e, di conseguenza, ridurre la percentuale di resi. “In base ai nostri studi”, afferma Giovanni Conforti, Ceo e Founder di Yakkyofy, “l’utilizzo della Realtà Aumentata nello shopping online può incrementare il tasso di conversione fino al +40%, aiutare a fidelizzare i clienti e a ridurre la percentuale di resi”.

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